Obama firma legge omnibus: anche norme Cuba meno rigide


Washington, 11 mar. (Ap)
– Una manovra da 410 miliardi di
dollari, “imperfetta”, ma necessaria. E’ così che il presidente
degli Stati Uniti Barack Obama ha definito il piano volto a
finanziare le spese del governo federale fino alla fine dell’anno
fiscale 2009 (che cade il 30 settembre di quest’anno). Piano che
ieri ha ricevuto finalmente il sì del Senato Usa, e che è stato
firmato oggi da Obama. E piano, anche, volto a distendere le
relazioni tra gli Usa e Cuba, visto che con esso saranno
finalmente eliminate alcune restrizioni che erano state imposte
dall’ex presidente George W. Bush nel 2004.

La firma però non è stata apposta in pubblico, ma in privato: e
il presidente ha ignorato anche le domande dei giornalisti che,
nel corso della conferenza stampa indetta alla Casa Bianca, hanno
chiesto il perchè di una tale decisione. Non che ci fosse bisogno
di una risposta esplicita: è da giorni infatti che la stampa
americana parla dell’accanimento contro la manovra manifestato da
molti membri dell’opposizione repubblicana. Da un lato, infatti,
i repubblicani hanno gridato allo scandalo circa numerosi
stanziamenti che la manovra presenta: sarebbero in tutto quasi
9.000, e secondo la stessa associazione “Taxpayers for Common
Sense” valgono ben 7,7 miliardi di dollari (lo staff repubblicano
della Commissione di stanziamenti della Camera parla invece di
7.991 stanziamenti, per un valore di 5,5 miliardi di dollari).
Dall’altro lato, l’eliminazione delle restrizioni che Bush aveva
imposto su Cuba proprio non è andata giù a tanti.

Queste stesse ragioni avevano portato i repubblicani del Senato
a bloccare la manovra da 410 miliardi di dollari, la scorsa
settimana. L’impasse aveva scatenato forti timori che il governo
rimanesse senza fondi, e per questo motivo venerdì scorso, prima
la Camera e poi il Senato, avevano approvato una soluzione
tappabuchi per garantire la copertura finanziaria
all’amministrazione, per altri cinque giorni.

Alla fine, l’impasse è stata risolta e il Senato ha appunto dato
il suo ok alla manovra: sì finale dunque sia agli stanziamenti
che allo stop delle restrizioni imposte su Cuba nell’era di Bush.
E su quest’ultimo punto le speranze sono molte.

Il piano permetterà in particolare ai cittadini americani con
famiglia a Cuba di far visita al paese anche una volta all’anno,
e fermarsi per un periodo di tempo illimitato (contro le
precedenti sanzioni, che avevano stabilito un solo viaggio ogni
tre anni, e che avevano fissato per la permanenza a Cuba un tempo
massimo di 14 giorni per volta). Ancora, vengono alleggerite
altre sanzioni imposte sulle importazioni di medicinali e di beni
alimentari. Tanto che i più ottimisti sperano già da ora nella
fine dell’embargo sul paese, mentre molti repubblicani
trattengono a stento la loro delusione.

Per Obama, questo piano nel complesso si è rivelato insomma una
vittoria piuttosto amara. Ma nonostante le polemiche, o forse
proprio per questo, prima di firmare il presidente ha difeso la
manovra “imperfetta”, affermando che la legge può essere
considerata anzi alla stregua “di un punto di partenza da cui
partiranno grandi cambiamenti”. Il pacchetto di spese, secondo
Obama, deve inoltre avere come obiettivo porre “fine al vecchio
modo di fare business”.

Riguardo agli stanziamenti di certo, ha ammesso, questi hanno
alimentato “il cinismo”. E’ necessario dunque che gli
stanziamenti futuri abbiano “obiettivi degni e legittimi”, e che
si distinguano da quelli del passato, che spesso sono stati
“strumenti di sprechi, di frodi e di abusi”. Ciò detto, “ci sono
momenti in cui gli stanziamenti possono essere positivi” ed è
importante che “ognuno di essi sia aperto a (essere esaminato) in
udienze pubbliche, in modo che le spese vengano giustificate di
fronte ai contribuenti”. Soprattutto, gli “earmarks”, così come
sono conosciuti, non devono essere legati a “favori di natura
politica”.

Con il suo discorso, Obama ha voluto dare così al suo piano la
caratteristica della novità rispetto all’era di Bush. Ma questa
volta il suo desiderio di rompere con il passato non ha convinto
del tutto, e molti repubblicani gli hanno anzi rinfacciato i
numerosi discorsi della sua campagna presidenziale, quando aveva
promesso di abolire le spese inutili e gli sprechi del Congresso.

Rimane la questione cubana. A tal proposito, è importante
sottolineare tuttavia che lo stesso Timothy Geithner, segretario
al Tesoro Usa, è riuscito ieri a convincere due senatori che si
erano detti sconcertati dalla decisione di liminare le sanzioni
imposte da Bush nel 2004. I due sono stati rassicurati proprio
sul fatto che alla fine non ci saranno grandi cambiamenti nelle
norme che disciplinano la vendita di prodotti agricoli e i viaggi
di lavoro a Cuba.

Dunque, molte limitazioni sulle esportazioni e sui viaggi, di
fatto, rimarranno. Sulla questione Geithner non si è voluto
esporre più di tanto. Il governo “sta al momento rivedendo la
politica degli Stati Uniti verso Cuba, al fine di stabilire il
modo migliore per promuovere il cambiamento democratico nel paese
e per migliorare le vite del popolo cubano”, ha detto. La parola
passa ancora, dunque, a Obama.

Usa1

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