Fabrizio De André se n’è andato da undici anni ma muore ancora un po’ ogni giorno assassinato dagli innumerevoli omaggi e tributi, spesso poco azzeccati, quasi sempre gratuiti (tranne per il pubblico, che paga), neppure lontanamente superiori o avvicinabili all’originale. Chi si salva? Mauro Pagani e Massimo Bubola che hanno ripreso i pezzi che avevano scritto con Faber prima che ci pensasse qualcun altro? Morgan che fa copiacarbone di “Non al denaro, non all’amore né al cielo”?
Cristiano, il figlio di cotanto padre, che riprende un repertorio per lui carico di ricordi e di emozioni per risollevare una carriera spenta?
C’è il caso della Premiata Forneria Marconi che, quando ancora circolava con la sigla beat I Quelli incontrò il genovese in studio per registrare “La Buona Novella” per poi ritrovarlo, nove anni dopo, nuova formazione, nuovo nome, alle spalle un successo internazionale ma anche la voglia di tornare a essere la band italiana di riferimento unendo le forze al cantautore italiano più importante per un tour indimenticabile. Indimenticabile anche perché la PFM non vuole farcelo dimenticare, che ci piaccia o no: passi il libro fotografico con immagini e ricordi di Guido Harari e Franz Di Cioccio, passi (già meno) l’ennesima ristampa dei due volumi di “In concerto” senza nulla aggiungere a quello che si conosceva, non passi l’operazione “trentennale – decennale”, ovvero riprendere tutti i brani arrangiati all’epoca e riproporli a 30 anni dalla tournée e a dieci dalla morte di De André che, con la sua voce caratterizzava definitivamente i pezzi: gli stessi suoni mal si adattano alle asprezze dell’ugola di Franz e alle dolcezze di Franco Mussida. Sono gli ultimi superstiti della band che conobbe Fabrizio nel 1970: Djivas arrivò dopo, Flavio Premoli se n’è andato e non ha preso parte a nessuno di questi progetti, Lucio Fabbri, entrato successivamente in organico, è qui ospite. Qui dove? Ma in “A.D.2010 – La Buona Novella” ovvero la nuova versione del disco originale “completata”, verrebbe da dire “stirata” dal gruppo. Premesso che costoro sono, da sempre, tra i musicisti più abili dell’italico panorama, virtuosi degli strumenti anche se manca un vero “maestro della voce”, l’operazione, da loro stessi definita “opera apocrifa da ‘La buona novella’ di De André” suona più commerciale che artistica. Anzi, solo commerciale. Anzi, qualche malizioso potrebbe suggerire che l’idea di realizzare inserti, introduzioni e code ai pezzi originali, tutto firmato dai tre, abbia l’unico scopo di dividere i diritti d’autore con l’augusto oggetto dell’omaggio. Anzi, lo sosteniamo tranquillamente (così come il nome del cantautore serve a vendere tanti più concerti). Il risultato potrebbe, il condizionale è d’obbligo, piacere ai fan terminali sia di De André che della Premiata: costui ritroverà suoni “progressivi” doc – che tanti anni dopo suonano piuttosto “regressivi” – e grandi prestidigitazioni (il basso, ad esempio, non sta fermo un istante) che appesantiscono canzoni come “Il ritorno di Giuseppe” o “Via della Croce”. I brani dolenti, come “Ave Maria” o “Tre madri”, mettono in evidenza tutti i limiti vocali che già rendevano indigesto il live precedente. L’unico aspetto positivo è che con questa prodezza la PFM dovrebbe avere terminato il suo periodo da “tribute band” di De André e potrebbe dedicarsi a qualcosa di nuovo, oppure sciogliersi, che male non fa.
Alessio Brunialti
a.cavalcanti
© riproduzione riservata