Palermo, 18 lug. (Apcom) – Alle 16.58 del 19 luglio 1992 un’auto imbottita con cento chili di tritolo, posteggiata in via D’Amelio, fece tremare ancora una volta Palermo, dopo appena 57 giorni dalla strage di Capaci. Una vera e propria carneficina che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e ai suoi cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Le immagini trasmesse dai tg quel giorno mostrarono i palazzi sventrati da un’esplosione che in una frazione di secondo, tra le alte colonne di fumo, aveva trasformato Palermo in una città come Beirut.
Dietro quella strage, che rappresenta una delle pagine più nere della storia recente del Paese, i contorni nebulosi e sfumati di una realtà capace di celare ancora oggi i nomi di quelli che furono i reali mandanti ed esecutori di un attentato destinato a segnare per sempre le coscienze della società civile italiana. A differenza della strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone, infatti, riguardo le responsabilità sull’eccidio di via D’Amelio si è sempre sospettato un maggior coinvolgimento di un’entità che andasse oltre la sola Cosa nostra, arrivando piuttosto a lambire ambienti attigui a quelli istituzionali: in particolare il sistema deviato del Sisde.
Un episodio ancora lontano dall’essere chiarito e in cui l’ingorgo di verità ha inesorabilmente impantanato il delicato lavoro dei magistrati della Procura di Caltanissetta che indagano ancora oggi sulla strage. Su via D’Amelio ci sono le verità dei politici di allora come l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino che non ricorda d’aver incontrato il giudice Borsellino pochi giorni prima della strage; e le verità dei collaboratori di giustizia, e di un capomafia storico come Totò Riina che dalla sua cella ha rimarcato l’estraneità di Cosa nostra rispetto a questo episodio.
Ci sono poi le parole di Massimo Ciancimino, che negli ultimi
anni ha deciso di raccontare agli inquirenti quelle verità
rivelategli dal padre Vito, e relative alla presunta trattativa
fra Stato e mafia avviata già all’indomani dell’attentato. Ci
sono infine le verità scritte dallo stesso giudice Borsellino
sulla sua agenda rossa, sparita misteriosamente da via D’Amelio
pochi minuti dopo l’agguato e mai più recuperata.
Xpa
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