«In certe aree del Varesotto l’indice di presenza mafiosa è al massimo». A sostenerlo è Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’università degli Studi di Milano, che ha presentato il rapporto trimestrale sulle “mafie al Nord”, redatto per conto della commissione antimafia.
Dopo Milano, Torino, Monza e Imperia, che il rapporto classifica come province ad altissimo indice di presenza mafiosa, ecco che spunta Varese, un gradino sotto nella graduatoria, alla pari con realtà a noi vicine come Como, Lecco, Pavia, Brescia.
Realtà molto complesse
Il gruppo di ricerca guidato da Dalla Chiesa ha valutato ciascuna realtà provinciale con un punteggio che va da un massimo di uno (massima presenza) a un minimo di cinque: e Varese con un punteggio due non può stare tranquilla.
Anche perché «la valutazione è il frutto di una media – spiega il docente di sociologia della criminalità organizzata – in certe aree del Varesotto potremmo dare un punteggio uno, mentre in altre la diffusione è molto minore».
L’indice, va rammentato, è relativo solo alla presenza mafiosa nel Nord, e «non può essere paragonabile» al radicamento nelle regioni del Sud. Ma il rapporto sfata, e non è la prima volta, certi miti sull’impermeabilità della nostra realtà. Uno degli aspetti più interessanti è la strategia di penetrazione delle organizzazioni criminali, che passa per i piccoli centri piuttosto che dalle città.
È nei piccoli comuni che più facilmente «un gruppo di persone armato determina immediatamente chi ha giurisdizione e quali sono i comportamenti e le norme della vita quotidiana e pubblica», o che qualche uomo di fiducia dei clan può entrare con le preferenze nelle amministrazioni locali.
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