A Villa Bossi “Gilda del MacMahon”

«Malgrado i dolori, malgrado le lacrime, malgrado la disperazione e, in certi momenti, la voglia di farla finita con tutti e con tutto, non solo non sapeva odiarli e maledirli, ma sapeva solo adorarli».

Era fatta così “La Gilda del Mac Mahon”: gli uomini li amava. Ed erano tutti poveri cristi della periferia nord, verso il Ponte della Ghisolfa, di una Milano anni Cinquanta distrutta ma capace di sperare nel futuro.

È prostituta per forza (ma anche per amore) e «atomica» nel corpo, come Rita Hayworth, la Gilda di Giovanni Testori.

E a lei è dedicata la serata di oggi, alle 21, nell’antica cantina di Villa Bossi (ingresso 10 euro) con Sarah Collu, Romeo Tofani e Andrea Benvenuto. La riduzione scenica, a cura di Vittorio Brizzi, vede l’intervento anche di Luca Carnelli al sassofono: nella Milano «dove si raccontano i drammi profondi dell’umanità, tra situazioni terribili ma anche bellissime», dice Serena Nardi, direttrice artistica della stagione teatrale, la musica rischiara e commenta le pause del cuore.

Perché Gilda, che di anni ne ha «ormai trentatré suonati!», è una bellona che crede ancora nell’innamoramento e che proprio in questo cerca il riscatto da una vita di desolazione. Con un “mestiere” che era tale, scrive Testori nel racconto, «perché le aveva dato da vivere, anzi, nei momenti più difficili, da sopravvivere; ma se era per il resto, no». E questo Gilda «lo gridava lei stessa, difendendo la sua dignità, come una tigre i propri figli».

Una dignità che è dura da mantenere in viale Mac Mahon, dove Gilda esercita la professione e si innamora di Gino Bonfanti, un balordo che la giovane «mantiene come un signore» vendendo il proprio corpo. Che salva dalla galera dopo una condanna per ricettazione di refurtiva e che nutre di devozione piena ed infinita. Ma non c’è ricambio d’affetto, in questo dramma neo-realista di storia intima e privata: Gino ha una moglie e da questa aspetta un figlio, perché i «buoni costumi» lo vogliono accanto a una donna «onesta». Così Gilda è usata non solo nel corpo, ma anche nell’anima. Usata e abbandonata.

Nel linguaggio di Sarah Collu prende vita la trasformazione psicologica di Testori, che annida le contraddizioni dell’esperienza e del vivere con parole «sferzanti, taglienti, quasi dissacranti», prosegue Serena. Dove il romanzo, il dialetto, le espressioni popolari e della mala, il gergo della chiesa e la cronaca rosa sono un tutt’uno. È la grande forza narrativa di questo artista capace di ritrarre quel grande amore che – spesso – si fa salvezza. È questa la tragedia di Gilda, giocata nelle fantasticherie di quegli anni del dopoguerra nei quali i «ragazzotti hanno i miti delle dive sexy, delle super prestazioni, dei protagonisti dei gialli e delle soubrette», disse tempo fa il regista Lorenzo Loris. Quel mondo di cellulosa dove l’illusione si fa più forte della realtà. Ma poi è la bruttezza quotidiana della resistenza a farsi largo nel tradimento morale e nella vigliaccheria.

Gilda, con tutto il suo pieno di passione, si ritrova sola in una Milano nella quale «domina l’ironia per la grossolanità» di una cultura livellatrice che «produce squallore».

Davide Ielmini

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