– «Ho sentito discutere in modo concitato intorno alle 2.30 di notte. Non era di certo la prima volta…». A parlare è una vicina di casa di Abdelmlek Abdelhak, il tunisino che ha cercato di dare fuoco alla moglie appiccando un incendio nel loro appartamento. «Poi, dopo le urla, si sentiva il rumore di mobili che venivano spostati e di oggetti che venivano lanciati. Il trambusto è andato avanti per oltre un’ora, quando ad un certo punto ho sentito la moglie urlare e le grida di un bambino che chiedeva aiuto. Era il figlio più piccolo della coppia. Mi sono affacciata alla finestra e ho visto le fiamme uscire dall’appartamento. Ho chiamato immediatamente il 112, ma qualcuno li aveva già avvisati. In pochissimi minuti sono arrivati i carabinieri».
La donna, che preferisce mantenere l’anonimato perché teme di subire ripercussioni, si dice sotto choc per quanto accaduto in quella che fino a qualche ora prima era sempre stata considerata una zona tranquilla. «Se non fosse stato per la tempestività e la prontezza di intervento dei carabinieri giunti sul posto, probabilmente moglie, figlio e nonno sarebbero morti. Non solo, anche noi residenti abbiamo rischiato grosso. Il loro intervento è stato impeccabile».
La vicina di casa racconta di una situazione di violenza domestica che si protrae per anni. I due sono coproprietari dell’appartamento andato a fuoco da circa una decina di anni ed entrambe risultano residenti a Samarate. «Sapevamo che la donna era vittima di maltrattamento da parte del marito – racconta – Ce ne eravamo accorti dalle liti che ogni tanto scoppiavano. Inoltre, il figlio più grande si era rivolto a noi chiedendoci cosa avrebbe potuto fare per impedire al padre di picchiare la mamma. Abbiamo fatto segnalazioni, ma la donna non ha mai voluto denunciare il convivente. Nessuno, però, si aspettava che sarebbe arrivato a tanto». La violenza non ha confini e, nella maggior parte dei casi, ha le chiavi di casa. «Sappiamo che la colpiva stando ben attento di non lasciarle segni visibili. Ma avevamo le mani legate: lei non ha mai voluto sbilanciarsi, impedendoci di poterla aiutare».
La signora, inoltre, racconta gli attimi di folle rabbia dell’uomo durante l’arresto: «I carabinieri hanno dovuto sfondare la porta d’ingresso e per immobilizzarlo, era completamente fuori controllo. Una volta ammanettato ha continuato a dimenarsi e a urlare anche salendo in macchina. Era già fuori dalla palazzina quando, vedendo la moglie, le ha gridato: “Quando esco ti ammazzo”». La preoccupazione, ora, è rivolta anche al figlio della coppia. «Quel povero bambino ha subìto un trauma che sarà difficile da superare. Non riesco a togliermi dalla testa le sue urla».