Lo sentimmo al telefono l’ultima volta nel febbraio 2013, quando papa Benedetto XVI “abdicò”, lasciando il mondo cattolico con il fiato sospeso. Giovanni Reale abitava la sua casa di Luino e come sempre rispose alle nostre domande con squisita cortesia e schiettezza, com’era nel carattere dell’uomo.
«La sua decisione di lasciare è di assoluta grandezza, teologica e morale, non si parla più di esercitare il potere ma di decidere se farlo o meno. Lui ha agito personalmente,
compiendo quello che l’entourage aveva impedito a Giovanni Paolo II, nonostante quest’ultimo avesse detto testualmente: “lasciatemi tornare alla casa del padre”», ci disse allora.
«Benedetto XVI ha avuto la capacità di trasformarsi da teologo in pastore, ma il merito più grande del suo pontificato è stato quello – e lo stesso papa Wojtyla me lo rivelò – di convincere la Chiesa ad abbandonare la filosofia di Tommaso d’Acquino, imposta, come quella da seguire da ben due encicliche. Nessuna cultura filosofica può infatti catturare e imprigionare il messaggio cristiano, ma è la parola di Dio a fecondare l’uomo, e questo Joseph Ratzinger l’aveva capito da tempo».
Queste ultime parole erano un po’ la summa del suo pensiero, con il valore della fede a superare di slancio la barriera dell’ateismo, secondo il celebre filosofo uno dei mali della modernità, assieme all’assenza di valori che conduce l’uomo a un nichilismo di fondo, sconfitto soltanto dalla conoscenza del pensiero antico, la cui saggezza deve fare da sostegno alla vita quotidiana.
Reale era nato a Candia Lomellina nel 1931, ma da tempo viveva a Luino, dove contribuì anche alla vita culturale della città, come fece nel 2009, quando tenne una “lectio magistralis” dedicata al “Pianto della statua”, a seguito di un documentario realizzato da Elisabetta Sgarbi.
Secondo lo studioso, in pittura e scultura il pianto non è soltanto «una macchia o un incavo antiestetici, ma un grido di dolore che non esorbita dal campo dell’arte e anzi, se espresso in modo adeguato, si manifesta come una straordinaria e profondamente toccante forma di bellezza». Per tutta la vita Giovanni Reale ricercò la bellezza del pensiero attraverso lo studio della filosofia greca, della quale era uno dei massimi conoscitori a livello internazionale, e aveva insegnato per anni prima nei licei, poi nelle università di Parma e Cattolica del Sacro Cuore a Milano, dove si laureò con Francesco Olgiati e fu ordinario di Storia della filosofia antica, fondando anche il Centro di ricerche di metafisica, fucina di allievi e luogo d’intensi scambi culturali.
Nel 2005 Reale passò come docente alla neonata facoltà di Filosofia del San Raffaele di Milano, rinnovando i suoi fondamentali studi su Platone, l’autore di riferimento. Attivo fino alla fine, il filosofo stava correggendo in questi giorni le bozze del suo ultimo libro in due volumi, intitolato “Cento anni di filosofia. Da Nietzsche ai nostri giorni”, scritto, come spesso accadeva, con il collega Dario Antiseri, presentato con successo alla Fiera di Francoforte e previsto in uscita a gennaio 2015 per l’editrice La Scuola.
Proprio un testo pubblicato dallo stesso editore, “Il pensiero occidentale dalle origini a oggi”, risalente al 1983 e ampliato proprio lo scorso anno, è stato fondamentale per diverse generazioni di studenti liceali, e tradotto in russo, spagnolo, portoghese e perfino in kazako, lettone, cinese e urdu.
Autore di fondamentali lavori scientifici, come la monumentale “Storia della filosofia greca e romana” uscita nel 2004 da Bompiani in dieci volumi, ha curato l’opera completa di Platone e la “Storia della filosofia dalle origini a oggi” in quattordici volumi, sempre coadiuvato da Antiseri.
Reale rimase sempre legato alla sua formazione intellettuale di matrice tedesca – studiò a Marburgo e Monaco di Baviera – e fece conoscere in Italia gli studi filosofici sulla scuola di Platone dell’università di Tubinga, ponendo l’accento per primo sulle “dottrine non scritte”, gli insegnamenti che il filosofo greco impartì oralmente ai suoi discepoli, Aristotele in testa, e questi tramandarono fino a noi. Personale e nuova anche la lettura dell’opera di sant’Agostino, con la figura del pensatore di Ippona posta a collegamento tra filosofia antica e Cristianesimo e sfrondata dalle panie dell’interpretazione medievale.