Ha lottato fino alla fine, i suoi giocatori del Bologna appena un anno fa gli avevano fatto forza sotto la finestra dell’Ospedale. Poi era tornato ad allenare, ci aveva provato. Fino alla fine del contratto con la squadra: improvviso, forse crudele ma non inaspettato era arrivato lo stop dal Bologna. Sinisa non stava più bene, purtroppo. Il guerriero aveva lottato fino alla fine, ma la leucemia mieloide acuta, che ha combattuto strenuamente per tre anni, alla fine non gli ha lasciato scampo. E’ morto oggi all’età di 53 anni.
Il calcio piazzato la sua specialità, come anche le sue battute nelle interviste, freddure alla slava maniera che suonavano come siluri. Sinisa era un uomo tutto d’un pezzo, corretto ma implacabile, aveva dato lustro alle squadre dove arrivava – Inter, Lazio, Roma, per citare solo quelle italiane – prima da calciatore, poi da allenatore (tra queste soprattutto Inter, Bologna e Milan).
Aveva preso la cittadinanza italiana nel 2021, sebbene solo “onoraria”, il 17 novembre dello scorso anno proprio a Bologna. Lui figlio di madre croata e padre serbo, all’Italia era doppiamente legato perché aveva sposato Arianna Rapaccioni, ballerina televisiva italianissima (lei romana) con la quale è rimasto legato sin dal 1995 e che poi aveva sposato nel luglio del 2005. Ben cinque figli da questa relazione, e un figlio avuto precedentemente da un’altra donna.
Sinisa era un uomo vero, che amava la moglie, lo sport e i valori sani del gioco. Ironico e lucidissimo. Un uomo tutto d’un pezzo, insomma.
Ci mancherà.
G.M.A.