VARESE Trovare una ricetta e fare una torta rigorosamente senza creme, incartarla nella plastica, decidere una data di scadenza “sensata”, elencare tutti gli ingredienti contenuti nel dolce e registrare la cucina di casa come laboratorio di pasticceria. Queste le cose che deve fare una mamma, oggi, che intende portare un dolce casalingo a scuola o in parrocchia. Giusto o no?
I paletti messi dalla normativa sanitaria sulla vendita di torte fatte in casa da una parte vanno nella direzione di una maggiore tracciabilità
degli alimenti, dall’altra rappresentano un onere burocratico difficile, se non impossibile, da rispettare.
Motivo per cui l’Asl è categorica: «Le torte fatte in casa non si possono vendere». Ma in periodo di crisi anche le decisioni piccole hanno un peso grande. Il gruppo missionario della parrocchia della Brunella, per esempio, da quattro anni a questa parte, dovendo fare a meno della tradizionale vendita di torte, ha perso circa 500 euro a mercatino. Soldi che vengono sottratti alla beneficenza. «Adesso, al posto delle torte, si vendono manufatti e oggetti di lana – afferma Falcetta Natalia, del gruppo missionario – È vero che le persone hanno un grande cuore e comprano ugualmente, ma un conto è tirare fuori dieci euro per una torta, un altro è spendere venti euro o più per sciarpe e cappellini. Prima, con la vendita di torte, riuscivamo a garantire ad alcuni giovani di partecipare a campi estivi senza gravare sulle loro famiglie, adesso è tutto più difficile».
In controtendenza, Alessandro Campi del Bar La Cupola ha recentemente organizzato una gara di torte. I fondi raccolti con la vendita dei dolci – per un totale di duemila euro circa – sono stati dati all’associazione Caos.
Il servizio completo sul giornale in edicola mercoledì 30 gennaio
s.bartolini
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