È il giorno del triste addio ad Erika Gibellini. La pioggia cade insistente su Brebbia mentre la chiesa ed il sagrato si riempiono senza sosta. All’interno della chiesa intitolata ai Santi Pietro e Paolo non c’è praticamente più posto. Tantissime persone si fermano all’esterno nel più totale e surreale silenzio. È il giorno del saluto, della tristezza e delle lacrime. Non delle parole, perché quando si saluta una ragazza di 15 anni, parole e spiegazioni non ce ne sono, non ce ne possono essere. Proprio come recita lo striscione esposto all’esterno della chiesa dagli amici della piccola Erika: «Non penso ci siano parole, solo un grande ricordo nel cuore».
Ragazzi e famiglie, giovani ed anziani, in chiesa e sul sagrato si mischiano le lacrime di tutti, nel ricordo di Erika. Si è spenta nella notte tra sabato e domenica lasciando di sé il ricordo di una ragazzina forte, sorridente, una guerriera che è rimasta attaccata alla vita fino all’ultimo attimo possibile. Sulla bara bianca di Erika, prima del suo ingresso in chiesa, è stata posata una maglia rossa del Varese Calcio, assieme ad un tutù
e delle scarpette da danza, una delle sue grandi passioni. Il padre Max abbraccia amici e parenti sul sagrato prima di entrare in chiesa. Sono attimi, fotogrammi difficili da spiegare, da interpretare, non c’è ne è bisogno. Il dolore riempie i pochissimi spazi vuoti, i giocatori del Varese non trovano posto in chiesa e si fermano con gli ombrelli al suo esterno, osservando in silenzio. Le voci del coro salutano l’inizio della cerimonia, e le parole del parroco accompagnano Erika nel suo viaggio. «Contro il buio della morte, siamo chiamati ad un’intensa prova di amore. Ma noi oggi non dobbiamo preoccuparci per Erika, perché le sofferenze del tempo presente, come scriveva San Paolo, non sono paragonabili alla gloria futura».
Tutta la comunità si è stretta attorno alla famiglia di Erika, alla madre, alla sorella, al padre Massimiliano, persona conosciuta e ben voluta nell’ambiente del Varese Calcio. Le parole dell’omelia riempiono il silenzio, toccano il cuore e nascono da un prete che cerca di darsi delle risposte attraverso la fede. Perché diversamente, di spiegazioni non ce ne sono. Non ce ne sono per i genitori come non ce ne sono per le amiche, gli amici, i parenti.
Brebbia si è stretta in un lungo abbraccio, assieme a tutta la provincia, cercando di trovare nel ricordo l’unica via. «Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra». È un estratto del Salmo 15, che il parroco riprende nella sua omelia. Ne esce un passaggio forte, simbolico, commovente, quasi una richiesta di aiuto alla giovane Erika. «Mi indicherai il sentiero della vita», lei, Erika, che è una guerriera e che alla vita ci è rimasta attaccata con tutte le forze, arrendendosi nella notte tra sabato e domenica dopo aver lottato a lungo contro un tumore. Sul finire della cerimonia, il padre Max manda a chiamare sei giocatori del Varese perché vuole che siano loro ad accompagnare la sua Erika fuori dalla chiesa. E fuori, sotto la pioggia, il saluto, la processione silenziosa. Una decina di palloncini bianchi volano in cielo, la gente li accompagna con lo sguardo. Qualcuno manda un bacio, un saluto, un segno di croce, nella speranza che arrivi ad Erika. Sul sagrato risuonano le note di una canzone, un tributo. Addio, Erika.