Washington, 28 mar. (Ap-Apcom) – Il presidente degli Stati Uniti
Barack Obama non avrebbe potuto scegliere un giorno più adeguato
per annunciare la nuova strategia Usa in Afghanistan e Pakistan.
Qualche ora prima della presentazione del piano, dal Pakistan è
arrivata la notizia dell’ennesimo drammatico attentato suicida,
che ha fatto almeno 48 vittime nella moschea di Jamrud. Cittadina pachistana situata lungo il confine con l’Afghanistan, Jamrud è parte integrante di quella regione geopolitica che, e il discorso di Obama lo conferma, è diventato per gli Usa il fronte di battaglia numero uno nella lotta al terrorismo. Una regione che non comprende più dunque soltanto l’Afghanistan, ma anche il Pakistan; una regione che l’amministrazione Usa, sotto l’egida di Obama, non esiterà a colpire allo scopo di scovare quei terroristi che qui si rifugiano: quest’area è diventata “il posto più pericoloso al mondo” per gli americani.
L’amministrazione Usa lancia un messaggio inequivocabile: il
Pakistan deve offrire la sua collaborazione, anche perché,
comunque gli Stati Uniti andranno avanti, al fine di
“distruggere, smantellare e sconfiggere al Qaida in Pakistan e
Afghanistan”. Obama dice infatti che gli Stati Uniti hanno “un
grande rispetto per il Pakistan”, ma che allo stesso tempo “Al
Qaida e gli estremisti alleati costituiscono un cancro che
rischia di uccidere il (paese) dall’interno”. Dunque, a
prescindere da quelle che sono le posizioni di Islamabad,
l’America farà di tutto per impedire le metastasi che avrebbero
effetti devastanti “per la sicurezza degli Stati Uniti e del
mondo intero”.
Sempre più delicata la posizione del presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, che si trova ora tra due fuochi: da un lato quello americano, che chiede la sua attiva cooperazione, dall’altro quello della gente pachistana che, dopo aver assistito alle morti di civili provocate dalle incursioni dei droni, ha protestato fermamente contro gli attacchi. Allo stesso tempo, se il Pakistan ha visto riconosciuto o anzi rafforzato il ruolo di interlocutore attivo degli Usa nella lotta contro al Qaida e i talebani,
il governo afgano è stato a mala pena menzionato da Obama; il che la dice lunga sulla fiducia che gli Stati Uniti ripongono, tra l’altro in vista delle elezioni di questa estate, nel presidente afgano, Hamid Karzai. E anzi, la promessa degli Stati Uniti di non chiudere un occhio di fronte alla corruzione del governo afgano equivale quasi a una sentenza di morte per il futuro politico di Karzai. Dal canto suo anche il presidente afgano fa finta di niente e anzi loda Obama per la strategia statunitense nel paese appena annunciata: una strategia che non esita a definire ottima.
Forte il plauso che arriva anche dagli alleati. La Francia sottolinea che gli Stati uniti “mettono tutto il potenziale dei loro sforzi e del loro impegno al servizio di una strategia globale”, per bocca del Ministero degli Esteri, Eric Chevalier. E il ministro degli Esteri Franco Frattini giudica la nuova linea politica del presidente per l’Afghanistan “un primo passo importante” e una svolta “condivisibile”. Dalla repubblica Ceca, i ministri degli Esteri Ue tutti si dicono pronti ad aumentare la loro azione civile in Afghanistan e l’aiuto economico in Pakistan, due punti cardine della strategia Obama.
Nel suo discorso più importante di politica estera da quando è diventato ufficialmente presidente degli Stati Uniti, Obama conferma il ruolo di poliziotto del mondo degli Stati Uniti.
L’America di Obama rimane il paese che vuole assicurare il bene di tutto il mondo, e che si dichiara in grado di decidere cosa poter fare o meno.
Fra le cose possibili appare sempre più evidente lo
‘sdoganamento’ dell’Iran presentato assieme all’India come paese
cruciale per la stabilizzazione della regione, e parte di un
“gruppo di contatto” che dovrà discutere il caso afgano. Si sa
che l’amministrazione da tempo lavora a un progressivo
coinvolgimento politico iraniano come arma di scambio nei
confronti del programma nucleare di Teheran; ora però gli
iraniani vengono iscritti d’ufficio fra i potenziali alleati, i
pachistani fra coloro che devono imparare a cooperare.
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