– «Al telefono soltanto cazzate». E Abderrahmane Khachia, 23 anni, aspirante pizzaiolo di Brunello, arrestato lo scorso 29 aprile con l’accusa di vicinanza alla Jihad, di essere pronto a compiere attentati terroristici e a mietere proseliti, pronto a raggiungere i territori del Daesh e a morire “da martire” come il fratello Oussama, espulso per ordine del Viminale nel gennaio 2015 e morto in Siria come foreign fighter a dicembre dello stesso anno, scarica tutto sul pugile operaio: «Io sono un cog….. e Moutaharrik mi ha rovinato».
In sostanza il giovane ha sostenuto di essere stato trascinato nei discorsi, intercettati dagli investigatori, dal pugile.
È accaduto ieri mattina davanti ai giudici del tribunale del Riesame di Milano davanti ai quali Khachia ha chiesto la scarcerazione.
Il pugile altri non è che Abderrahim Moutaharrik, arrestato con la moglie nello stesso blitz che ha fatto scattare le manette ai polsi del ventitreenne di Brunello e anche lui ieri davanti ai giudici milanesi per chiedere di tornare in libertà.
«Non ho mai fatto parte di un’associazione terroristica, al telefono ho detto solo caz…e e parole sbagliate», ha spiegato il marocchino davanti ai giudici, difeso dal legale Luca Bauccio, alzando a tratti la voce.
Il giovane, in sostanza, nei verbali avrebbe “scaricato” parte delle responsabilità su Moutaharrik accusandolo di averlo trascinato in questa vicenda.
«Non volevo fare nulla di concreto», ha detto a sua volta Moutaharrik chiedendo la scarcerazione. Il campione marocchino di muay thai è detenuto dal 29 aprile con l’accusa di terrorismo internazionale e dopo due settimane ha potuto riabbracciare ieri la moglie, Salma Bencharki, nell’aula del tribunale del Riesame. «Una piccola goccia di umanità», ha detto l’avvocato Francesco Pesce, legale della coppia.
Secondo l’accusa anche Salma Bencharki avrebbe voluto partire con il marito e i due figli di 2 e 4 anni per raggiungere la Siria ma a sua volta ha chiesto la scarcerazione.
In base alle indagini il pugile affermava di essere pronto a colpire in Italia e, in particolare, in Vaticano. Moutaharrik si è difeso e ha sostenuto ancora, come aveva fatto davanti al gip, che le cose che diceva al telefono o nei messaggi audio su WhatsApp «erano solo parole, soltanto frasi, ma non volevo fare nulla di concreto». «Volevo andare in Siria ad aiutare la popolazione e non arruolarmi nell’esercito dell’Isis», aveva detto il pugile lo scorso 2 maggio.
Il Riesame si è riservato di decidere sulle richieste di scarcerazione. Nell’ambito dell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dal pm Enrico Pavone, era stata arrestata anche Wafa Koraichi, sorella di Mohamed Koraichi, considerato il “cattivo maestro” del gruppo e che da oltre un anno si trova in Siria con la moglie Alice Brignoli, convertitasi all’islam dopo aver incontrato l’uomo che sarebbe diventato suo marito. I giudici hanno dieci giorni per depositare la sentenza.