«Al Tour si dormiva in branda Poi spunta Parigi e sei salvo»

Silvano Contini è stato uno dei migliori ciclisti varesini. Classe 1958, originario di Leggiuno, pro dal 1978 al 1990: oggi è fuori dal giro, abita a Laveno e lavora a Sangiano, dove gestisce la falegnameria di famiglia. «Quando ho smesso mi hanno proposto di rimanere nell’ambiente – spiega – ma volevo godermi moglie e tre figli, fare una vita normale. Non sono più salito in bici: un paio di volte l’anno faccio una pedalata, ma andando così poco c’è solo fatica, senza divertimento».

Contini è diretto e modesto come quando correva. Si parte dal Tour: «Ne ho disputati solo due, nell’86 e nell’87. La prima volta, capitano della Gis, pensavo di fare classifica: mi scontrai con la durezza della Grande Boucle. All’epoca la logistica era avventurosa e i trasferimenti disagevoli. E altro che alberghi full optional: capitava di dormire in palestre riempite di brande. Ma nel sud della Francia, tra caldo e zanzare, si stava meglio fuori che dentro. E mangiavamo prendendo la verdura dalle ceste che ci portavano». Morale, «il ricordo più bello è quando l’ultimo giorno, dopo uno scollinamento, all’orizzonte comparve Parigi: mi si aprì il cuore, finire mi sembrò un’impresa. Tentai di conquistare una tappa, non ci riuscii mai. La sfiorai nell’86 a Nîmes: fuga ristretta, secondo dietro a Hoste».

Salto in avanti, al duello : «L’inglese non era battibile: dopo , il sistema di preparazione Sky è riuscito a creare un altro atleta da Tour. Doping? Ha troppa visibilità per permettersi di rovinare tutto con una storiaccia. In montagna mi aspettavo di più dallo spagnolo: ma al massimo avrebbe dimezzato il distacco».

La maglia rosa indossata 14 volte, senza mai vincere il Giro: «Non ho rimpianti per il terzo posto dell’82: era un marziano. Per il quarto dell’81, sì: mi fregò la bronchite beccata al Romandia, rimasi tutto il tempo sotto antibiotici e arrivai provato alla terza settimana. Pagai tutto il terz’ultimo giorno, con una cotta epocale nel tappone dolomitico: la salita delle Tre Cime di Lavaredo non finiva mai».

L’hurrà più importante, la Liegi del 1982: «Fuga a quattro con me, , e . Li battei in volata, i belgi non la presero tanto bene. Quella è l’unica coppa che tengo in casa: il resto dei cimeli ce l’ha mia madre».

Contini è esponente di un ciclismo ruspante che non c’è più: «I contratti si firmavano stringendo la mano allo sponsor, che sulla maglia era uno solo: personaggi carismatici che investivano per pura passione. Si correva da febbraio a ottobre mantenendo una forma costante, diciamo all’80%, allenandosi secondo sensazioni e gareggiando senza essere telecomandati dalle ammiraglie. Oggi è tutto scientifico, deciso a tavolino. Vincere Giro e Tour è improponibile, perché non puoi essere al 101% così a lungo. I corridori hanno perso la fantasia, la capacità di leggere la situazione sbirciando le facce dei rivali. E vivono blindati, si atteggiano, mentre noi stavamo sempre tra la gente. In compenso guadagnano molto di più».

C’è un Contini? «No. Io ero un istintivo: guardavo il cielo al mattino e decidevo cosa fare, poi magari in corsa cambiavo idea». L’aneddoto vintage: «Nelle tappe di pianura ce ne fregavamo della dieta: e giù coi panini pieni di mortadella e altre cose vietate. se li faceva con tonno e cipolline: sublimi».

Correvano tempi buoni per il pedale varesino: «Eravamo in tanti: ci trovavamo sulla Besozzo-Vergiate per allenarci insieme, si accodavano gli amatori e sembrava una gara vera. Adoravo Panizza, il mio maestro: un burbero dal cuore d’oro, che mi aiutò ad ambientarmi tra i professionisti. Se non avevo voglia di allenarmi mi telefonava a casa anche più volte al giorno». E adesso? « lascia. è in declino. C’è , ma non so se il tricolore può fare di un eccellente gregario un capitano. Manca il ricambio perché i ragazzi preferiscono sport meno faticosi: peccato, le soddisfazioni che dà il ciclismo sono impagabili. E perché abbiamo poche squadre giovanili: io cominciai nella Caravatese, che c’è ancora, e poi nella Lavenese, sparita come tante altre. Nuovi campioni arriveranno, ma ci vorrà del tempo».

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