Rimettere il calcio al centro, rendere la governance più snella, dare spazio ai giovani: sono alcuni dei concetti chiave su cui punta Demetrio Albertini che dopo essere stato metronomo del Milan e vicepresidente della Federcalcio (si è dimesso prima del Mondiale), ora si vede “regista del cambio di marcia» e si mette «volentieri a disposizione» per candidarsi alla presidenza della Figc.
Perché la candidatura sia effettiva, però, serve che Albertini sia sostenuto da almeno la metà più uno dei delegati assembleari di almeno una lega o una componente tecnica.
Finora questo endorsement non è arrivato nemmeno per l’altro candidato in pectore, Carlo Tavecchio. C’è tempo fino al 27 luglio, ma la corsa fra il 71enne presidente della Lega dilettanti e il 43enne Albertini sembra avviata. «Oggi né io né lui siamo candidati: ci siamo messi a disposizione. Con grande rispetto ho parlato con Carlo (Tavecchio, ndr) – ha raccontato l’ex vicepresidente federale -: nel momento in cui non riceve la candidatura dalle altre componenti che ha sbandierato, magari significa che il sistema sta cercando altro. Mi metto a disposizione. La mia agenda è aperta, deve essere dettata da chi vuole confrontarsi. Se non ci saranno, ne prenderò atto».
La scelta della serie A di stilare delle linee guida da sottoporre ai candidati «metodologicamente non è corretta: spetta al candidato presidente captare le esigenze delle diverse leghe», ha sottolineato Albertini, che si propone perché sente «la responsabilità nei confronti di tante persone».
La richiesta è arrivata «dalla gente per strada» e «da tutte le parti che rappresentano il mondo del calcio». Il suo profilo è compatibile con la svolta invocata dal presidente della Juventus Andrea Agnelli e dall’ad del Milan Barbara Berlusconi.
«Ho ricevuto diverse telefonate, quella di Barbara ancora no. Alcuni presidenti – ha raccontato l’ex milanista – mi hanno detto: “sei una persona meravigliosa ma non ti voto perché sei un ex calciatore”. Io non voglio essere il candidato di una fazione». Albertini non rinnega il passato da calciatore, ma rivendica anche «un terzo di carriera da dirigente in giacca e cravatta».
Esperienze che lo hanno aiutato a elaborare una serie di idee, «non un programma, ma spunti e filosofie di calcio», tratteggiati in una conferenza stampa di 45’ in un hotel milanese. Ecco le priorità, da affrontare «senza guardare al modello tedesco, perché siamo un altro paese con un’altra cultura, ma con lo stesso obiettivo raggiunto dalla Germania»: la Figc «non può ridursi a una spartizione di poltrone corporativa» e «va snellita l’attuale governance che non permette di prendere grandi decisioni se non all’unanimità»; bisogna dare al calcio italiano «un progetto sportivo» partendo dalla «valorizzazione dei vivai», pensando a rose in linea con i parametri Uefa, «senza ridurre il dibattito alla composizione dei campionati o alle squadre B».
© riproduzione riservata