Ingenuo, primitivo. Con il termine naif spesso viene indicata una produzione artistica spontanea e non sorretta da una vera e propria formazione accademica.
Solitamente le opere di un artista naif non si possono facilmente ricondurre a correnti artistiche o di pensiero codificate, categorie alle quali non appartengono proprio perché sono l’espressione di una creatività istintiva, elementare e semplice fatta più per se stessi e quindi totalmente separata e distinta dalle regole del pensiero artistico del “momento”.
È così per Edoardo Caravati, varesino di Bosto, classe 1869.
Di mestiere scalpellino, o piccapedre, come molti nell’area di Varese e delle vallate del Lago Maggiore, ma anche marmorini, artigiani della scagliola, stuccatori molto richiesti nell’edilizia specializzata a tal punto da monopolizzare negli anni a cavallo fra Otto e Novecento questo settore in Europa e Oltreoceano con flussi migratori stagionali e una facilità di assunzione dovuta al fatto che ancora nessun’altra nazionalità aveva occupato il mercato.
Caravati segue i percorsi dell’emigrazione italiana a medio raggio: dopo un soggiorno pluriennale in Svizzera, in giovanissima età, interrotto per assolvere in patria l’obbligo del servizio militare, si stabilisce a Zurigo dove mette su famiglia con la giovane Emma Knable, tedesca di Monaco di Baviera.
All’inizio del 1900 si trasferisce nel paese di origine della moglie, Lautenbach, nella zona della Foresta Nera che dal punto di vista naturalistico ricorda ambiente e panorama del massiccio del Campo dei Fiori.
Per passione e mai per denaro, Caravati affianca alla attività nell’edilizia una intensa produzione artistica molto apprezzata dalle famiglie della zona che commissionano sculture decorative per i loro giardini o disseminate nei boschi limitrofi alla cittadina. Ancora oggi vengono organizzate da varie associazioni culturali di Lautenbach visite guidate alle sculture e ai luoghi di Edoardo Caravati.
Rientrato a Varese intorno al 1912, trova lavoro presso l’Impresa De Grandi in quegli anni impegnata nella costruzione del Grande Albergo del Sommaruga.
Per nulla contaminato dalla novità del Liberty, questo artista dal “cuore sacro” (come definiva Wilhelm Ude i pittori e scultori naif) dovette sentire prepotentemente la sacralità del luogo dando vita a un discreto numero di opere scultoree disseminate nei boschi intorno al Grande albergo, traendole dalla difficile roccia del luogo, inerte e informe, difficilmente modellabile.
Per Caravati tuttavia la difficoltà di lavorare una materia cosi ostile doveva essere indifferente: da un blocco di roccia egli veniva sottraendo la materia fino a sbozzare le figure utilizzando con grande sapienza gli strumenti meccanici su un tipo di roccia adatto più per ricavare blocchi squadrati da costruzione piuttosto che i contorni descrittivi di figure e particolari.
Attraverso forme a tratti tozze e squadrate ma dal carattere fortemente espressionistico e vivificate da una personalità indubbiamente originale, Caravati ha regalato alla montagna varesina un cospicuo numero di opere dal forte simbolismo religioso che prende spunto dai racconti degli Evangelisti (ad esempio i tanti simboli incastonati fra le pietre del muro di cinta che delimita il Grand Hotel del Sommaruga) ma anche crocifissi, volti di Cristo e Madonne disseminati nel bosco.