Il nuovo approccio per l’osteointegrazione, noto come chiodo endomidollare, rappresenta un avanzamento significativo per i pazienti amputati alle gambe che necessitano di protesizzazione.
Originariamente sviluppata nel nord Europa e consolidata in Paesi come l’Olanda e l’Australia, questa tecnologia è attualmente in fase di introduzione in Germania, Polonia e recentemente anche in Italia, presso l’Ospedale di Circolo di Varese. Il successo di questa iniziativa è frutto della collaborazione tra le discipline di Ortopedia, Chirurgia Vascolare e Riabilitazione.
Le prime due procedure di impianto del chiodo endomidollare sono state eseguite una settimana fa nelle sale operatorie dell’Ospedale di Circolo. La squadra medica, guidata dal Prof. Fabio D’Angelo e composta dai dottori Giorgio Masotti e Gabriele Gritti, è stata supportata dal chirurgo australiano Munjed al Muderis della “Macquarie University Hospital – Sydney (Australia)”. Gli interventi sono stati eseguiti in collaborazione con i Chirurghi Vascolari del Prof. Matteo Tozzi, Marco Franchin e Nicola Rivolta, che seguono la maggior parte dei pazienti amputati presso l’ospedale.
Ogni anno, circa 50 pazienti sottoposti ad amputazione alle gambe presso l’Ospedale di Varese si confrontano con la necessità di una protesizzazione. L’85% di questi casi è dovuto a problemi vascolari, come complicanze del diabete o aneurismi, mentre il 15% è causato da traumi.
Il chiodo endomidollare rappresenta un’alternativa cruciale per quei pazienti per i quali la protesi tradizionale “a invaso” non è praticabile, a causa del tipo di amputazione o dell’inadeguatezza del moncone. Il Prof. D’Angelo spiega che questo chiodo è progettato appositamente per essere inserito nell’ultimo segmento osseo dell’arto, sporgendo all’esterno del moncone per ancorare la protesi. Questo approccio rende la protesi un prolungamento naturale dell’osso, migliorando la fluidità del camminare e riducendo le complicazioni.
Il Dott. Michele Bertoni, Direttore della Riabilitazione e Rieducazione Funzionale, sottolinea che molti pazienti amputati non tollerano la protesi tradizionale e il chiodo endomidollare rappresenta l’unica possibilità per loro di recuperare la capacità di camminare. Con l’adeguato percorso riabilitativo, questi pazienti possono tornare a una vita normale in soli tre mesi dopo l’intervento.
Oltre all’intervento chirurgico di impianto del chiodo endomidollare, è essenziale un percorso di cura a lungo termine che coinvolge la Riabilitazione. Il paziente è seguito dal riabilitatore prima dell’intervento chirurgico per valutare l’indicazione al trattamento. Successivamente, il team riabilitativo coordina la rieducazione del paziente al nuovo arto protesico, coinvolgendo figure professionali come fisioterapisti, terapisti occupazionali, tecnici ortopedici e anestesisti.
Il Prof. Matteo Tozzi, Chirurgo Vascolare e docente all’Università dell’Insubria di Varese, sottolinea che questa innovativa tecnica facilita il lavoro dei chirurghi vascolari, offrendo nuove prospettive ai pazienti con amputazioni legate a patologie vascolari.
È importante notare che il chiodo endomidollare non è la soluzione universale per tutti i pazienti amputati, ma rappresenta una risposta efficace per coloro che non possono beneficiare della protesi tradizionale a causa della conformazione del moncone, di intolleranze o esigenze particolari. L’introduzione di questa tecnologia a Varese contribuirà non solo a soddisfare le esigenze di chi ne ha bisogno, ma anche a diffondere una pratica innovativa che offre nuove possibilità a chi affronta amputazioni degli arti.