VARESE «I frontalieri portano alla Svizzera 3 miliardi di franchi all’anno». Incredibile ma vero, a dirlo sono gli svizzeri. Di più, sono i ticinesi del settimanale “Il Caffè” che si sono rivolti a un economista per quantificare in “soldoni” l’apporto degli italiani che varcano il confine per lavorare nel vicino Cantone.
Ebbene, sia pur con un stima, si arriva alla suddetta cifra, cioè 3 miliardi di franchi, su 12,3 miliardi totali di reddito da lavoro in Canton Ticino.
La stima del giornale ticinese si basa sull’ipotesi “neoclassica” per cui il salario percepito da un lavoratore è determinato dalla sua produttività. «Subito una difficoltà – spiega l’economista Angelo Rossi, interpellato dal giornale – non sappiamo quale sia la quota del reddito da lavoro nei 15.4 miliardi di prodotto interno lordo cantonale. Possiamo però stimare che sia vicina almeno all’80%. Avremmo dunque un reddito del lavoro di 12.3 miliardi da distribuire tra frontalieri e residenti». L’economista precisa poi che in Ticino, a differenza di altre regioni, il salario dei frontalieri è mediamente inferiore a quello dei residenti. «Si dice addirittura che lavorino per la metà. Più realistica è l’ipotesi che lo scarto di salario sia del 10%, per via della diversa struttura delle qualifiche».
Per stimare correttamente il peso di ogni lavoratore, hanno contato anche la differenza tra impieghi part time e a tempo pieno, trasformando tutto in numero di posti corrispondenti a tempo pieno. «Il totale dell’impiego in Ticino dovrebbe così situarsi attorno ai 160mila posti di cui 118mila sono lavoratori residenti e 42mila sono frontalieri. Tenendo conto del divario nel salario medio tra un italiano e uno svizzero (del 10% circa), il reddito del lavoro dei frontalieri sarebbe pari a circa 3 miliardi di franchi, quello dei residenti a 9.3 miliardi».
Insomma, «altro che “ratt”», concludono nell’articolo: i frontalieri portano vantaggi e svantaggi, ma in generale producono ricchezza. D’altra parte la remunerazione di un italiano in Ticino è bassa e mediamente inferiore a quella di un ticinese. «Contribuisce a mantenere competitive aziende che altrimenti sarebbero obbligate a lasciare il mercato – spiega l’economista – Nel settore edile, in quello turistico e in quello del commercio al dettaglio, esso limita i processi di ristrutturazione in atto. Nel settore sanitario consente invece di mantenere il livello di cure, nel settore dell’educazione e in quello della ricerca mettono a disposizione forza lavoro specializzata che non potrebbe essere reclutata in Ticino».
La conclusione della stampa ticinese questa volta soddisfa anche il lato italiano del confine. «Non possiamo che essere d’accordo con quest’analisi», commenta Pietro Roncoroni, sindaco di Lavena Ponte Tresa e presidente dell’associazione dei comuni di frontiera. Lui in effetti lo dice da sempre, che i varesotti che lavorano in Ticino possono solo far bene all’economia del Cantone. «C’è una reciproca soddisfazione che dura da più di quarant’anni – commenta – e non credo che possa essere messa in dubbio dalle sparate di qualche partito politico, anche se forte dall’altra parte del confine».
Tutto fermo invece per il tentativo di “ricucire” con la Svizzera, dopo le richieste inviate dai sindaci di frontiera al ministro dell’Economia italiano Giulio Tremonti. «In questo momento il Governo deve far fronte ad altre priorità, ma stiamo sul pezzo e spero si possa arrivare a una risposta quanto prima».
Francesca Manfredi
s.bartolini
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