La storia non è lettera morta, ma vive e ci accompagna ogni giorno, nelle vie che percorriamo, lungo le strade che calpestiamo e sulle quali, prima di noi, sono passate altre generazioni. Protagoniste dei cambiamenti che hanno portato al mondo di oggi. Avere coscienza della storia è fondamentale per capire il presente e costruire il futuro.
E questo viaggio nella conoscenza della storia locale lo facciamo grazie al progetto “Le strade della memoria”, che il giornalista Fausto Bonoldi realizza per “La Varese Nascosta”.
Se ancora oggi possiamo rivivere, come se vi avessimo partecipato, le storiche giornate della liberazione di Varese dal giogo austrungarico lo dobbiamo a lui, il sacerdote Giuseppe Della Valle, al quale è intitolata una via di poche decine di metri nel cuore antico di Biumo, non lontano dal luogo della battaglia con la quale, il 26 maggio del 1859, i Cacciatori delle Alpi inflissero agli austriaci la prima sconfitta sul suolo lombardo della Seconda guerra d’indipendenza.
L’opera “Varese Garibaldi e Urban nel 1859”, pubblicata nel 1863 e riproposta nel 1909 da Maj e Malnati, nel 1959 dall’Anpi e infine, nel 2011, dalle Edizioni Arterigere, è una “memoria” dei fatti del ’59 scritta non con il distacco del cronista ma con la passione di un patriota con la tonaca, estimatore, oggi diremmo “fan” di Giuseppe Garibaldi senza se e senza ma. Giuseppe Della Valle era nato a Varese il 13 febbraio del 1823 da Pietro Della Valle ed Emilia Zanzi. Dal padre, organista della basilica di San Vittore, ereditò la vocazione per la musica, che riuscì a conciliare con la chiamata al servizio di Dio. Consacrato sacerdote nel 1844, fu destinato come organista a Desio per essere poi trasferito al santuario di Santa Maria del Monte da dove, nel 1851, ridiscese in città per “dare una mano” al padre indebolito dalla vecchiaia fino a quando, nell’aprile del 1858, ne prese il posto come maestro di cappella di San Vittore. Compositore, oltre che esecutore, don Giuseppe ebbe ripetuti scontri polemici con i suoi “datori di lavoro” (la Fabbriceria della Basilica) sullo stato pietoso in cui erano lasciati gli organi delle chiese varesine e sulla per lui scadente qualità degli strumenti donati dai Biroldi, celebrati organari ma da sempre in conflitto con la famiglia Della Valle. Convinto che l’amor di patria “non può e non deve assolutamente essere contraddetto e condannato dalla religione del Vangelo”, nella Varese postunitaria strinse stretti rapporti con la sinistra mazziniana, rappresentata in città dagli avvocati Giuseppe Bolchini, Ugo Scuri e Vittore Prestini, collaborando come giornalista al loro giornale “La Libertà” e sostenendo le prime forme di organizzazione del movimento operaio e, in particolare, le società operaie di mutuo soccorso. Cessate le pubblicazioni della “Libertà”, don Giuseppe fondò in proprio un nuovo giornale, “La Cronaca Varesina”, che cessò le pubblicazioni nel 1873, quattro anni prima della morte del prete garibaldino.