Si svolgerà stamattina nel tribunale di Busto Arsizio l’udienza preliminare dell’inchiesta “Angeli e Demoni”, che vede coinvolti in particolare , ex vice primario del pronto soccorso di Saronno, e l’infermiera . Si preannuncia un’udienza blindata e di difficile gestione per il numero di partecipanti: un’udienza che stabilirà l’eventuale rinvio a giudizio degli indagati riguardo le morti sospette in corsia al pronto soccorso di Saronno.
Sono attese in aula oltre 200 persone, tra avvocati, familiari ed associazioni, che chiederanno di costituirsi parte civile, motivo per cui l’autorità giudiziaria ha predisposto un rigoroso servizio di sicurezza.
Il gip dovrà decidere se rinviare a giudizio l’ex vice primario del pronto soccorso di Saronno Leonardo Cazzaniga, accusato di aver provocato la morte di quattro pazienti in corsia tramite avvelenamento da farmaci e, in concorso con l’amante infermiera Laura Taroni, anche di quello di suo marito, .
Rischiano il processo a vario titolo per omessa denuncia, favoreggiamento e falso ideologico anche 12 medici, tra cui , ex primario del pronto soccorso di Saronno e parte della commissione di professionisti chiamata a valutare l’operato di Cazzaniga, dopo la denuncia interna di due infermieri.
Sono diversi i nomi di professionisti, attualmente indagati, che rischiano di finire a giudizio. Oltre ai tre detenuti (Scoppetta si trova ai domiciliari, Taroni e Cazzaniga in carcere) in particolare sono i medici che facevano parte della commissione a essere finiti nel mirino della Procura di Busto. Scoppetta, primario del reparto operativo di pronto soccorso, responsabile del servizio infermieristico aziendale, il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera, il capo dipartimento del reparto emergenza e accettazione, il medico legale aziendale e il direttore medico del presidio di Saronno.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i componenti della commissione avrebbero omesso di denunciare all’autorità giudiziaria i reati commessi da Cazzaniga, di cui avrebbe avuto notizia già nel maggio del 2013. Le stesse persone, sempre secondo la Procura, avrebbero comunicato agli infermieri dai quali erano arrivate le segnalazioni, rispetto ai trattamenti somministrati dal “Dottor morte”, che il comportamento del medico, finito in manette, doveva ritenersi corretto e che non c’era alcun nesso tra i decessi delle vittime e il trattamento farmacologico.