– In attesa del dopo di noi al Gruppo Amicizia di Gorla Minore si lavora dal 1988 con passione, sette giorni su sette, per l’adesso con noi. Il seme venne piantato dalla maestra delle scuole elementari che oltre alla scuola voleva per gli allora “handicappati” qualcosa di più. Contro il pensiero generale, contro le modalità di quegli anni, contro anche a genitori alle prese con “un problema” più grande di loro. Sembra di parlare della notte dei tempi e invece di tempo ne è passato ma neanche tanto. Per fortuna e la testardaggine di pochi molto è cambiato.
Tra i pochi, quella maestra elementare oggi più che mai punto di riferimento per tante famiglie, affiancata da sostenitori, operatori, volontari e amici alla continua ricerca del nuovo e del meglio per i loro ospiti, molti dei quali ormai di casa nella Cooperativa Gruppo Amicizia. «Oggettivamente quello della residenzialità per le persone con disabilità intellettiva è un problema per tanti genitori – dice Castoldi – Il dopo di noi viene affrontato com’è possibile. Qualcuno intesta l’abitazione
al figlio chiedendo ad un altro componente della famiglia di abitare con lui o nello stesso stabile. Ma nessuno più di una mamma per un figlio ha nell’anima di farsi carico di un fratello o un parente. Lo si può capire. Ogni situazioni va conosciuta e scelte difficili come queste non vanno giudicate con superficialità. Noi abbiamo esempi splendidi ma nello stesso tempo vediamo ragazzi ancora giovani rimasti orfani che pur avendo famigliari e parenti vengono messi nelle case di riposo, lontani da dove sono nati e cresciuti, spesso scelti in base alla retta più economica. Ben venga una legge ma solo se non apre nuovi scenari senza fornire strumenti e fondi per sostenerli».
Chissà quanto tempo dovrà ancora passare affinché istituzioni ed enti preposti prendano coscienza sul fatto che in tema di disabilità intellettiva le parole “giovane” e “anziano” vanno considerate in termini e maniera diversa. Ma come si resiste tanti anni digerendo storie e situazioni come queste? «Semplicemente domandandosi ogni volta: se fosse mio figlio cosa farei? Me lo chiedevo quando insegnavo e ho continuato a chiedermelo creando il Gruppo Amicizia. Una domanda che vale come risposta a chi mi chiede perché sono qui pur non avendo un figlio con disabilità. La mia scuola non era ancora la scuola per tutti. Ho vissuto anche il momento traumatico quando ci è calata dall’alto la legge dell’inclusione con insegnanti impreparati o di sostegno che non c’erano. Una pezza la misero i Comuni che allora avevano qualche soldo in più». «Comunque è stato un piccolo passo in avanti e col passare degli anni i risultati si sono visti – prosegue – Pur con tutti i limiti i diciottenni di oggi che hanno frequentato la scuola fin dalle elementari sono diversi da chi fino alla metà degli anni Ottanta veniva parcheggiato dalle suore o dai nonni passando solo i fine settimana in famiglia ma chiusi in casa. Chi cresce, studia, gioca, lavora con gli altri cresce in autostima, in autonomia insomma, come persona».
E i genitori di oggi come prendono questa personalità per certi versi inaspettata? «Alcuni l’appoggiano e la incoraggiano – continua Castoldi – altri la frenano convinti di essere quanto di meglio possano avere i propri figli illudendosi di essere immortali. Nel nostro piccolo, una sera alla settimana incontriamo i genitori per far capire loro quanto sia importante costruire il dopo di noi quando noi ci siamo, mai soli, con più teste, più occhi, per far passare il messaggio di una vita possibile anche fuori dalla famiglia. Detto questo, dietro l’angolo nasce un altro problema causato dai costi sempre più pesanti per mantenere una struttura, con operatori specifici».
Costi che le famiglie non sono più in grado di sostenere «e i Comuni tagliano regolarmente – aggiunge – Tornando al Gruppo Amicizia, la struttura che ci è stata data da sempre in comodato oggi pare che il Comune sia obbligato da una legge a farci pagare un affitto. Ancora non sappiamo quanto sarà ma per noi che limiamo anche il consumo dell’aria qualsiasi cifra da trovare è pari ad una montagna da scalare. Ecco a cosa dovrebbe servire una legge. Ho provato a capire qualcosa di più di quanto è stato approvato alla Camera. Spero che prima di tutto si pensi a quello di questi ragazzi e dei loro genitori, degli operatori che ci sono, sono validi, ci mettono passione e competenza ma devono essere messi nella condizione di poter lavorare serenamente. Purtroppo, per quanto fantastici e insostituibili i volontari non bastano».