La crisi economica non ha solo decretato la fine della cultura del “posto fisso”, ma ha portato sotto i riflettori il concetto di “cambiamento” a 360 gradi. È il mito, se così lo si può definire, del dinamismo esasperato, che induce sentimenti di precarietà e incertezza, ma anche stress, ansia e senso di disagio. «Vivere costantemente nella dinamica del cambiamento è costituzionalmente fonte di ansia e stress», spiegano dall’Ambulatorio per l’ansia e la depressione dell’ospedale di Circolo di Varese.
È definito il “nuovo male del secolo” e colpisce un lavoratore su quattro: lo stress da lavoro, causa in Italia di 30 milioni di giornate di lavoro perse all’anno per un costo pari a 3 mld di euro, cifra irrecuperabile e che equivarrebbe ad una nuova Spending review. Basta pensare alle rapide evoluzioni dell’assetto aziendale, tipiche per esempio delle start up, ma anche alle ristrutturazioni e alle continue corse per restare al passo, con risorse e tempi sempre più stretti, fino alla paura di perdere il posto, oppure (se questo è già avvenuto), di non trovarne un altro.
Senza parlare della difficoltà di trovare un equilibrio tra la vita privata e il lavoro: è il sogno di molti, quello di riuscire a realizzare le proprie aspettative personali, trovando un incastro perfetto con tutte le necessità e gli impegni. Ma anche in questo caso, occorre saper “cavalcare” il cambiamento ed essere costantemente pronti a rimettersi in gioco.
C’è chi definisce queste caratteristiche tipiche della flessibilità e chi, invece, le attribuisce alla precarietà del mondo lavorativo di oggi. La psicologa e psicoterapeuta gallaratesericonosce: «Ultimamente stiano aumentando nel mio studio i pazienti con componenti di stress legato al lavoro».
«Quello che più affatica è la sensazione di non avere intorno una rete di sostegno. I pazienti sentono soli, e questo è il fattore di stress più pesante». Per gli uomini, soprattutto, il lavoro che inizia ad essere incerto diventa motivo di vergogna, perché diventa perdita del ruolo sociale.
«Ho avuto pazienti che, dopo aver perso il lavoro, continuavano ad uscire di casa ogni giorno alla stessa ora: in famiglia l’hanno tenuto nascosto per settimane».
E allora come affrontare le difficoltà, senza cedimenti di fronte all’ansia? Un modo per affrontare la crisi dal punto di vista psicologico c’è, secondo la dottoressa Pugina: «Di fronte alle difficoltà è bene prima di tutto parlarne, per non sentirsi soli e capire che non è del tutto colpa nostra. E poi è meglio arrabbiarsi che deprimersi. La rabbia diventa grinta, voglia di fare e di trovare nuove idee, per reinventarsi».
Chiedere aiuto, secondo la dottoressa, non deve essere motivo di vergogna, perché è il primo passo per uscire dai problemi, affrontandoli al meglio. «In questo un grosso aiuto lo danno i sindacati, che spesso offrono corsi di formazione per chi perde il lavoro. Trovarsi insieme ad altri con un problema simile fa stare meglio. E poi, chissà, da un incontro casuale può nascere una nuova avventura lavorativa».
Come è già capitato a molte start up, insomma, l’importante è trovare la persona giusta con cui buttarsi, ritrovare la voglia di fare e magari seguire le proprie passioni, facendole diventare il nuovo lavoro.