Egregio Direttore,
Sono rimasta molto colpita dal risalto dato nei giorni scorsi, non solo a livello locale, ma anche nazionale, alla notizia relativa alla chiusura della discoteca Village di Varese per maleducazione dei giovani clienti. Scrivo quale “addetta ai lavori”, sono infatti una pedagogista, per combinazione anch’io residente a Varese, che s’interroga su questa deriva educativa ma, incapace di limitarsi a prendere atto del fallimento, cerca strategie con cui affrontare il problema, senza rinunciare a qualche mea culpa.
Genitori ed insegnanti, educatori e psicologi si confrontano quotidianamente con il disorientamento della cosiddetta generazione Z, i ragazzi nati nell’ultimo ventennio la cui vita è sostanzialmente determinata dai social media, ma sempre più frequenti sono le situazioni in cui altri rappresentanti della comunità – come il signor Lamperti, titolare della discoteca varesina – manifestano la loro esasperazione di fronte ad una popolazione “che non ha più nessuna regola” ed il cui tratto distintivo pare essere “il tutto dovuto”.
Troppo semplice, a mio avviso, attribuire quest’imbarbarimento agli effetti collaterali della pandemia, ai lockdown forzati ed alla didattica a distanza, che certamente hanno esasperato la situazione, ma non sono certo gli unici responsabili di questa bomba sociale che ormai, è evidente, ci è scoppiata in mano. Forse serve un bagno di umiltà per riconoscere che già prima del Covid 19 molti adulti si erano distratti dal mandato assegnato dalla Costituzione alla famiglia (l’art 30 enuncia il diritto/dovere al mantenimento,
all’istruzione ed all’educazione dei figli) ed alla scuola. Famiglie liquide, genitori pavidi, insegnanti scoraggiati, più in generale adulti che sembrano temere uno dei principi basilari su cui regge il patto intergenerazionale: l’autorevolezza. Ecco che lo sfogo di Lamperti “Siamo saturi dei vostri litigi, la vostra arroganza, la vostra supponenza, la vostra maleducazione la vostra ignoranza, la vostra mancanza di rispetto per chi lavora” diventa appello inderogabile a recuperare la funzione educante, senza la quale non c’è modo di recuperare il terreno perso con i ragazzi, la cui fragilità esplode in modo sempre più violento in mancanza, fra l’altro, di competenza emotiva con cui agire socialmente i propri vissuti.
Autorevolezza significa responsabilità, fermezza, educazione alle regole. Significa insegnare che le regole sono strumento del vivere civile e che, qualora trasgredite comportano conseguenze. Ma significa soprattutto coerenza nell’educazione quotidiana, che tali principi deve incarnare con convinzione specialmente quando sono scomodi. Nulla di più lontano dall’autoritarismo che ha caratterizzato le relazioni educative di un passato ormai lontano, ma consapevolezza e volontà di porsi quale esempio per le giovani generazioni, se si intende arrestare quel processo identificativo che rintraccia nella rete gli unici e rischiosi modelli cui si ispirano i ragazzi.
Agli adulti servono anche competenze in materia di ascolto autentico, quello che accogliendo è capace di orientare, di sollecitare autoconsapevolezza e pensiero critico, di educare all’attesa ed al gusto della conquista. Serve tempo, servono attenzione e pazienza, serve la forza di saper dire “no” quando è necessario, doti quanto mai preziose ed oggi davvero di scarsa circolazione.
Lo psicologo americano Howard Gardner s’interroga su quali siano le intelligenze di cui l’umanità necessiti per continuare il suo cammino in un orizzonte sempre più dominato dalla tecnologia e con il rischio (ormai divenuto realtà) di scontri fra popoli. Fra le cinque indicate salta agli occhi “l’intelligenza rispettosa” che muove da una semplice quanto illuminata considerazione: “in un mondo in cui tutti sono interconnessi, l’intolleranza e l’assenza di rispetto sono opzioni non più concepibili”. Gardner si dice convinto che se ci si pone l’obiettivo di far crescere individui
rispettosi “occorre attribuire un peso particolare alla formazione in campo sociologico, umanistico, artistico e letterario […] necessaria per mettere direttamente a confronto il valore del rispetto, il costo del rispetto e il costo, infinitamente più grande a lungo termine, del non rispetto.”
Non sarà superfluo ricordare che la generazione Z presenta grandi e crescenti lacune anche in campo scolastico e significativi livelli di abbandono, così come emerge da numerose ricerche nazionali ed internazionali, che documentano la stretta relazione fra insuccesso scolastico e disagio giovanile, ribadendo la necessità di un patto convinto e non più procrastinabile fra educazione ed istruzione, tra famiglia, scuola e società.
Tra pochi giorni compirà 3 anni la legge 92 del 2019, sconosciuta ai più, che ha introdotto il curricolo di educazione civica nelle scuole primarie e secondarie, muovendo da un’affermazione densa di conseguenze per insegnanti e genitori: l’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri. Accanto alla conoscenza della Costituzione viene sottolineata la promozione della cittadinanza attiva e del volontariato, vera palestra di vita che costringe ad uscire da sé, dal proprio piccolo mondo, per andare verso l’altro. Attenzione versus egoismo, rispetto contro arroganza. Noi e non solo io.
Per chiudere mi sento di lanciare una proposta al titolare del Village: ha chiuso la sera ai ragazzi, perché non aprire un pomeriggio agli adulti chiamando genitori, insegnanti, coach sportivi, operatori degli oratori, forze dell’ordine a confrontarsi in un dibattito sulle urgenti questioni di cui sopra? Avrei in mente anche un titolo per l’evento “Adesso basta!”
Prof.ssa Piera Bagnus
Docente di Pedagogia Musicale
Coordinatrice del Dipartimento di Didattica della musica
Delegata dal Direttore per la disabilità ed i DSA
Istituto Superiore di Studi Musicali – Conservatorio “G. Cantelli” – Novara