Gaza, 8 set. (TMNews) – Tra i silenzi inspiegabili del movimento
islamico Hamas che governa Gaza e l’attesa dei tanti palestinesi
ed italiani che stimavano e seguivano il lavoro di Vittorio
Arrigoni, si apre oggi alla Corte Militare di Gaza city il
processo contro quattro palestinesi accusati di aver pianificato
ed eseguito il rapimento dell’attivista e giornalista free lance
italiano, assassinato dai suoi sequestratori lo scorso 15 aprile.
Altri due membri della cellula armata – in apparenza legata al
gruppo salafita Tawhid wal Jihad – il giordano Abdel Rahman
Breizat e il palestinese Bilal al Omari, ritenuti i “cervelli”
del rapimento di Arrigoni, sono rimasti uccisi in un assalto al
loro nascondiglio (nei pressi del campo profughi di Nuseirat)
lanciato dalle forze di sicurezza di Hamas due giorni dopo il
ritrovamento del corpo senza vita dell’attivista italiano.
“Spero che finalmente si faccia chiarezza su quanto è accaduto e che vengano condannati i responsabili dell’omicidio di Vittorio che era amato da tutti qui a Gaza per il suo impegno a favore dei diritti dei palestinesi”, si augura Khalil Shahin, vice direttore del Centro per i Diritti Umani che ha ricevuto dalla famiglia Arrigoni l’incarico di seguire le indagini condotte dalla procura militare di Gaza. Tutti e quattro gli imputati hanno fatto parte delle forze di sicurezza di Hamas, un dato che ha suscitato con pochi interrogativi sulla composizione della base del movimento islamico dove si sarebbero infiltrati parecchi miliziani di gruppi salafiti locali, alcuni dei quali legati al qaedismo.
Shahin è stato un amico stretto di Vittorio Arrigoni e ha ricostruito le ultime ore di vita del suo amico. “Vittorio andava in palestra quasi ogni sera – ricorda – e lo ha fatto anche quel mercoledì (13 aprile). I suoi sequestratori lo tenevano d’occhio e, aggiunge l’attivista dei diritti umani, “Vittorio ne conosceva due, Tareq Jram e soprattutto Bilal Omari, che frequentava la stessa palestra”. La polizia, prosegue Shahin, ha accertato che all’uscita della palestra Vittorio è stato avvicinato da due dei sequestratori, tra i quali Omari, che si sono offerti di accompagnarlo ad un ristorante. “Vittorio ha accettato e da quel momento di lui non si è saputo più nulla”, aggiunge Shahin.
L’allarme è scattato diverse ore dopo, il pomeriggio successivo (14 aprile), quando è apparso su Youtube il video girato dai rapitori che hanno chiesto in cambio della liberazione di Arrigoni la scarcerazione dello sceicco Abdel-Walid al-Maqdisi, un leader di Tawhid wal Jihad, arrestato due mesi prima da Hamas.
La polizia la sera del 14 aprile è stata in grado di arrivare subito a due dei rapitori. A questo punto, secondo le indagini, gli altri componenti della cellula, tutti molto giovani, presi dal panico hanno ucciso l’attivista italiano, prima della scadenza dell’ultimatum che avevano lanciato, e tentato di far perdere le loro tracce. Sotto interrogatorio però uno degli imputati ha dichiarato che il giordano Breizat, capo del gruppo armato nonostante la giovane età, era intenzionato ad uccidere Arrigoni in ogni caso.
Importanti interrogativi si concentrano perciò sulla figura di Abdel Rahman Breizat, la “mente” del sequestro. L’indagine condotta dalla procura militare di Hamas non è stata in grado di accertare eventuali collegamenti tra il giovane salafita giordano e gruppi estremisti operanti nel Sinai, territorio egiziano infiltrato negli ultimi anni da decine (forse centinaia) di militanti jihadisti, molti dei quali avrebbero combattuto in Iraq ed Afghanistan.
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