Caso Macchi: la comparazione con il Dna di Stefano Binda è possibile e sarà eseguita probabilmente prima dell’inizio del processo. Sarà molto probabilmente l’indagine scientifica il cuore del procedimento giudiziario che vedrà Stefano Binda, 49 anni, di Brebbia, alla sbarra il prossimo 12 aprile in sede di dibattimento con l’accusa di aver assassinato Lidia Macchi, studentessa varesina di soli 20 anni, la notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987. Il corpo di Lidia, uccisa con 29 coltellate,
fu trovato la mattina del 7 gennaio 1987 al limitare dei boschi del Sass Pinì di Cittiglio. Binda è stato arrestato quasi 30 anni dopo il delitto, il 16 gennaio 2016, ed è da allora detenuto. A lui gli inquirenti sono arrivati attraverso le dichiarazioni di una super testimone, amica sia di Lidia che di Binda all’epoca dell’omicidio, che guardando una puntata di Quarto Grado dedicata proprio al delitto della studentessa varesina, ha riconosciuto come appartenente a Binda la grafia con cui fu scritta la lettera anonima In morte di un’amica, recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987, giorno delle esequie della ragazza, e che sia i familiari che gli inquirenti ipotizzarono essere stata scritta o dall’assassino o da qualcuno che sapeva molto sul delitto. All’epoca del delitto, in sede di esame autoptico, fu prelevato dalla cavità vaginale della giovane dello sperma: per l’accusa Lidia era stata violentata prima di essere uccisa. Non è però stato possibile eseguire un confronto con il Dna di Binda perché tutti i reperti inerenti l’omicidio conservati nell’ufficio corpi di reato del tribunale di Varese furono distrutti su ordine dell’allora capo dell’ufficio Gip nel 2000. Dalla distruzione si salvò l’imene della giovane inviato a Pavia per essere sottoposto a delle analisi. Su quel vetrino potrebbero esserci ancora degli spermatozoi dai quali poter recuperare il Dna di chi ebbe quella notte il rapporto sessuale con Lidia. L’esame è però unico e irripetibile. Gli scienziati dell’istituto di medicina legale di Milano, guidati da Cristina Cattaneo, antropologa forense di fama internazionale, hanno dunque riprodotto il tessuto eseguendo diversi tentativi. Arrivando ad individuare il modo migliore per l’analisi dell’imene che sarà eseguita settimana prossima in modo da avere la certezza, prima del processo, se vi siano o meno tracce di materiale biologico. Non solo: i periti forensi hanno ora iniziato ad analizzare il materiale sotto le unghie di Lidia per verificare che non vi siano tracce utili all’identificazione dell’assassino. La salma della giovane è infatti stata riesumata l’anno scorso per consentire gli accertamenti. Cattaneo ha isolato dopo la riesumazione gruppi di peli e capelli trovati attraverso l’analisi dei resti di Lidia. Sono stati prelevati peli e capelli di Binda. L’antropologa forense eseguirà il test del Dna comparando gli elementi morfologicamente simili tra loro.