Quando la chat ti allunga la vita. Te la salva addirittura. È il pomeriggio di venerdì, le tre sono passate da un quarto d’ora e al centralino della questura cittadina telefona una ragazza dal tono concitato. Non grida, s’interrompe un paio di volte, alla fine riesce a togliersi quel groppo in gola: è preoccupata perché una sua giovane amica, collegata con lei in chat, al computer, le ha detto che vuole farla finita, che si vuole suicidare.
La ragazza comasca non sa cosa fare, non conosce di persona la coetanea, le uniche informazioni che ha sono un nome di battesimo e il numero di un cellulare. Gli agenti di turno avvisano i loro colleghi e comincia una laboriosa ricerca. In pochi minuti il quadro è limpido: si risale al nome completo della persona in pericolo e si scopre che abita in provincia di Venezia. Pochi istanti e parte l’allarme, vengono avvisati i poliziotti del commissariato veneto e anche i carabinieri che hanno la caserma nei pressi dell’abitazione della giovane. I militari arrivano appena in tempo: la ragazza è già incosciente, dopo aver ingerito un cocktail di farmaci e alcol che, sul verbale, verrà definito in perfetto gergo da romanzo giallo: «micidiale». L’intervento dei volontari del 118 fornisce le cure adeguate e la ragazza viene salvata. «Dopo le prime cure sul posto la paziente viene trasportata in ospedale dove i medici, nonostante le condizioni critiche, riescono ad escludere il pericolo di morte» recita il resoconto delle forze dell’ordine. Ciò che manca, a questo punto, è la parte più bella, il lieto fine. Gli agenti avvisano la ragazza comasca che l’amica è fuori pericolo, che per merito suo l’ha scampata. Al telefono l’unica risposta è il silenzio e i singhiozzi di un pianto che libera ma non cancella la pena.
f.angelini
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