«E ora che lassù si ritrovano l’Anna, Gualco e l’Augusto non oso immaginare cosa possano combinare insieme… Chissà che squadra e che società allestiranno…».
Dal tardo pomeriggio di ieri un altro pezzo di Leggenda si è trasferito in cielo, a corroborare l’organigramma di una Varese celeste e immortale e a proteggere una storia che proseguirà sempre – così come prosegue sempre la vita – anche grazie alle gemme del suo passato.
La Pallacanestro Varese piange la scomparsa di Augusto Ossola, 96 anni, dirigente, memoria storica, papà dei colori cestistici che connotano l’essenza di questa città. Malato da tempo, Ossola era ricoverato a Comerio: le sue condizioni di salute erano peggiorate negli ultimi mesi, impedendogli di dedicare alla passione di una vita – la palla a spicchi, appunto – il fisico ma non la mente, fino all’ultimo lucidissima e sintonizzata con la precisione di un archivio informatico (che però non avrà mai un cuore come quello dell’Augusto, a sottolineare ogni “file” della memoria) su un amore chiamato Varese.
Da contabile della Ignis, intesa come azienda, a contabile (e poi responsabile della biglietteria e degli abbonamenti… E poi ancora papà di tutti i giocatori e santone delle statistiche….) della Ignis, intesa come società di basket, Ossola era entrato in Pallacanestro Varese alla fine degli Sessanta: l’ha lasciata solo ieri. «Era una bandiera, come il Marino Capellini, come l’Anna (Bonsignori ndr) – è l’incipit del ricordo del grande Aldo Ossola – La leggenda di Varese lui l’ha
vista nascere. Tutti lo conoscevano e lui era bravo a farsi amare, in primis dai giocatori: era un papà. E proprio noi giocatori, ogni volta che ci ritrovavamo, pensavamo a lui, parlavamo di lui. L’ultima occasione è stata proprio l’altra sera: sapevamo delle sue condizioni di salute, eravamo preoccupati… Sembra quasi fuori luogo in questo momento, ma io Augusto lo accosto anche agli scherzi che noi della combriccola dell’Ignis gli facevamo: li accettava sempre, stava al gioco, ma perché sapeva che poi in campo avremmo dato tutto». D’altronde quelli erano «i suoi ragazzi».
Quelli degli anni d’oro e quelli che ne hanno raccolto il testimone sul parquet nel corso dei decenni, come Max Ferraiuolo: «Quante volte mi sono sentito rimproverare bonariamente: «Massimo… Massimo…»… Si occupava della biglietteria e io andavo a chiedergli qualche biglietto in più per i miei amici: all’inizio storceva un po’ il naso, poi me li concedeva. Augusto era sensibilità e attenzione, ma non solo: aveva una memoria eccezionale. E ci teneva, anche in tarda età, a mostrare alle persone il suo rigoroso archivio. Mi ricordo, per esempio, quando lo andai a trovare con coach Vitucci, che lo voleva conoscere una volta arrivato a Varese: tirò fuori orgoglioso tutti i suoi appunti, scritti in bella grafia. E se per caso un giornale non pubblicava il tabellino di una partita, fosse anche un’amichevole, il giorno dopo mi chiamava perché lo doveva avere per forza».
Di una persona così nemmeno l’ultimo battito di vita decidere di battere a casaccio. Ossola ha aspettato a morire: voleva salutare il “suo” Bob, almeno un’ultima volta. È riuscito a farlo, tre giorni fa: Morse era appena arrivato a Varese dagli Usa e non ha mancato, come sempre, di andare a trovarlo accompagnato da Sandro Galleani, nonostante fosse stanchissimo per il viaggio intercontinentale: «E siamo rimasti entrambi impressionati dalla lucidità di Augusto – racconta con commozione “mahatma” Sandro – Si ricordava che Bob si era trasferito in Oregon per stare più vicino alle sue nipoti, gli ha chiesto del recente uragano che ha scosso quella zona, gli parlava di Bufalini e degli altri atleti degli anni 70. A me ha detto «salutami l’Egidia (la moglie di Galleani ndr»), poi mi ha preso la mano e non me la voleva lasciare…».
Commosso anche il ricordo di Gianmarco Pozzecco: «Lui trasudava amore per la Pallacanestro Varese, era una cosa enorme che travolgeva chiunque se lo trovasse davanti. Io non ho mai giocato con lui come dirigente, ma è un po’ come se l’avessi fatto, come se avessi vissuto anni insieme a lui. Varese non dimentica questi personaggi ed è il motivo per cui questa città è speciale».
Augusto Ossola lascia la moglie Mimma, la figlia Carmela e gli adorati nipoti. Questa sera Varese, la sua Varese, lo ricorderà con il lutto al braccio nel derby contro Milano.