Basket, Aldo Ossola boccia Milano «Cimberio tosta, e migliorerà ancora»

VARESE È bello parlare ancora del derby di domenica. Ed è ancora più bello parlarne con uno dei più grandi di sempre, uno di quelli che hanno vinto tutto, uno di quelli che hanno incantato. Aldo Ossola, domenica sera nel parterre del PalaWhirlpool a tifare per la sua Varese: e se a Bob Morse e Manuel Raga è stata data la cittadinanza onoraria, a Ossola bisognerebbe consegnare le chiavi della città.

Ossola: ha visto una bella partita?
No.

Ecco. Perché no?
Perché non è stato un derby. Dai, per favore: Milano era sotto di nove punti a due minuti dalla fine e invece di mettersi a pressare per recuperare si è schierata a zona. Allucinante: dite quello che volete, ma non chiamatelo derby.

È un derby, nel basket di oggi…
Io e Marino Zanatta siamo usciti dal palazzo e abbiamo fatto un pezzo di strada insieme: eravamo allibiti. Ma i giocatori di Milano non si vergognano, con tutti i soldi che prendono, a giocare in questo modo? Quella che abbiamo visto noi è la squadra che avrebbe dovuto battere Siena e vincere lo scudetto?

Cosa è mancato, all’Armani?
Posso dirlo? Le palle. Non avevano un briciolo di voglia, un minimo di amor proprio. In un derby, per come la vedo io, posso essere più scarso degli avversari, ma piuttosto che farmi schiacciare in testa mi faccio sparare. In un derby, alla fine, ci dev’essere il sangue sul parquet. Domenica non c’era nemmeno il sudore.

Addirittura?
Ho visto un lungo di due metri e dieci come quel greco, Bourousis, prendersi cinque tiri da tre punti. Ma scherziamo? Uno così dovrebbe starsene piantato in area e fare danni sotto canestro, mica tirare da sette metri: se questo è il basket di oggi, c’è da mettersi davvero le mani nei capelli.

Suvvia: Varese ha meritato. No?
Sì, perché ha messo in campo un po’ di attributi. Mi sarei aspettato la stessa cosa da quelli di Milano, invece niente. Sono davvero ancora incredulo: pensavo di averle viste tutte nella mia vita, fino a quando non ho visto un play come Cook cercare di difendere su uno come Diawara.

Insomma: deluso dal suo ritorno al palazzetto?
Pensavo di andare a vedere un derby, mentre quelli di Milano hanno preso la partita come un allenamento. L’importante, questo sì, è che abbiamo vinto noi.

Ecco: parliamo di Varese?
Sì, perché secondo me la squadra di Recalcati può giocare ancora meglio di così. A un certo punto, nel terzo quarto, c’erano tutte le condizioni perché Varese scappasse via e rifilasse un ventello ai poveri cuginastri. E poi, l’americano nuovo mi piace.

Weeden? Non ha giocato benissimo in verità.
Però ha fatto vedere dei numeri importanti: sa palleggiare e sa guardare dalla parte giusta. All’esordio è stato tradito dalla voglia di fare, ha osato un po’ troppo.

Da play a play: Rok Stipcevic, mattatore. Le piace il croato?
È bravo bravo. È l’emblema del play moderno, uno di quei giocatori che servono oggi: domenica ha vinto la partita e ha portato a spasso il collega milanese. Sapete cosa vi dico?

Cosa?
Se a Milano, al posto di quel Cook, avessero Stipcevic, la loro situazione sarebbe un po’ diversa e giocherebbero senz’altro meglio. Però non scrivetelo, altrimenti l’anno prossimo ce lo portano via.

Cosa farebbe Aldo Ossola per migliorare la pallacanestro di oggi?
Sposterei la linea del tiro da tre punti e la porterei a cinquanta metri dal canestro. Oggi tutti tirano da tre, e nessuno gioca più a basket. Assurdo.

Dica la verità: c’è qualcosa del derby di domenica che vuole salvare?
Il timido «cata su» che il palazzetto ha intonato nel finale. Proprio qualche secondo prima che il coretto partisse ho dato di gomito a Zanatta, che era con me, e gli ho detto: «Ai nostri tempi, adesso si sarebbe alzato il “cata su”». Mi sa che ci hanno sentito.

Chi è l’amico che era con lei alla partita?
Il mio cardiochirurgo. Sapete, dopo la mia disavventura (un infarto qualche mese fa, ndr) devo tenermelo buono e portarmelo sempre dietro.

Francesco Caielli

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