Basket, non dividiamo i tifosi tra belli e brutti. Tutti meritano rispetto

L’editoriale del nostro Fabio Gandini

Quando per la prima volta si materializzò l’ormai celeberrimo carro di capitan Daniele Cavaliero, epoca di risultati sportivi da tregenda se declinati al biancorosso cestistico, le discussioni principali vertevano sull’effettiva capacità di spostamento del neonato mezzo di trasporto: avrà le ruote? Riuscirà a “scrostarsi” dal parcheggio? Avrà pagato il bollo? Oggi, dopo due vittorie consecutive in campionato e una qualificazione ai quarti della coppa, dopo aver insomma constatato – con galileiano stupore – che il veicolo della riscossa “eppur

si move…”, ecco che il centro del discorso si è magicamente, e sorprendentemente, spostato. E non è, com’era lecito aspettarsi, focalizzato su quell’affollamento di presenze che il suo fondatore aveva ventilato a mo’ di minaccia («Vi ci faccio scendere io dal carro…»). No, anzi, magari… Scopriamo ora, invece, che sul quel carro non c’è posto quasi per nessuno, che lo stesso – sottratto alla legittima guida di giocatori e allenatore e fatto proprio da gente che nella sua commovente e sospirata partenza ha un peso specifico pari allo zero – ha intenzione di raggiungere la Luna praticamente senza passeggeri, facendo una selezione all’ingresso che neanche al Billionaire di Briatore.
C’è chi si è sempre limitato a giudicare quello che vedeva e non ha mai fatto il ruffiano: ora che il carro è partito, costui – costoro – è a piedi e in minoranza. Ma non se ne cruccia, per nulla: ha solamente fatto il suo (sporco) lavoro. C’è, invece, chi su quel carro avrebbe tutto il diritto di salire e che in questi ultimi giorni è stato infangato senza ritegno e senza senso dell’opportunità: sono i tifosi, definiti “disfattisti”, banalizzati nella loro passione, presi per il naso perché hanno esercitato un loro sacrosanto diritto, quello di lamentarsi davanti allo scempio sportivo e societario andato in scena per mesi. I tifosi non si toccano. E non è populismo, è intelligenza. Le loro manifestazioni, finché trovano posto nella sfera della civiltà (e la frase, anche per chi vorrà leggere a piacimento, serve a circoscrivere in modo netto certi fatti), vanno rispettate, anche se considerate sbagliate, prevenute, intempestive, esagerate. Perché la loro delusione è importante come la loro gioia: senza di esse, cari soloni, non esiste nulla. Perché non ci sono tifosi di serie A o tifosi di serie B: c’è solo un popolo che ama questi colori come nessuno, reagendo agli andamenti in campo secondo il proprio carattere, la propria inclinazione, il proprio spirito. Masnago è uno dei templi della pallacanestro più pretenziosi e brontoloni che esistano: ha nei crismi l’eccellenza e non se ne sa disfare, è crudele con i dilettanti allo sbaraglio, qualunque ruolo abbiano. Ma possiede una fedeltà che non si insegna: in A2 si riempiva, perché – pur nella mediocrità più assoluta – non era capace di stare lontano dal suo amore.
Va ribaltato il buon Cesare: guai ai… vincitori. Sono bastate due partite a far emergere i vanagloriosi: noi ci teniamo la folle Masnago, i suoi abitanti un po’ schizofrenici e quella storia che, sprovvista del loro apporto, non esisterebbe. E ci teniamo Paolo Moretti, uno che avrebbe avuto tutte le ragioni per fare l’offeso (chi ha sofferto più di lui?) e che invece domenica ha colto nel segno, anche fuori dal campo. Andate a rileggervi le sue dichiarazioni: altro che disfattisti.