Il mercato del falso causa milioni di euro di danni alla nostra economia, ma secondo gli addetti ai lavori un lato positivo ce l’ha: se c’è un mercato per le copie, significa che il made in Italy è un marchio decisamente appetibile per il mercato mondiale.
Basta tutelarsi, come consiglia la Camera di Commercio di Varese, e attendere che la legge di tutela del “made in” finisca l’iter europeo. I dubbi partono da un caso che, pochi giorni fa, ha coinvolto proprio il tribunale del riesame di Varese.
A novembre, durante la fiera del motociclo nella grande struttura di Rho, la Guardia di Finanza ha sequestrato undici motocicli della Wangyw Power, una ditta cinese del distretto industriale di Taizhou.
Motivo: gli scooter sarebbero troppo simili alla Vespa, compreso il diritto esclusivo della Piaggio sul «marchio tridimensionale». I legali della ditta cinese, però, chiedono l’annullamento del sequestro per la mancanza di motivazione nella convalida del sequestro (un vizio di forma, in realtà) e perché le differenze con i modelli Piaggio sarebbero macroscopiche.
Il tribunale di Varese, inizialmente, rigetta la richiesta, ma in aprile la Cassazione dà ragione alla difesa, rimanda al tribunale di Varese che questa volta conferma l’annullamento. Una vicenda potenzialmente pericolosa per il design made in Italy, che però gli esperti della Camera di Commercio varesina spiegano con un vuoto legislativo: la norma sul “made in” che tuteli i prodotti non alimentari è impantanata nella trafila legislativa di Bruxelles. Il consiglio che arriva da piazza Monte Grappa, quindi, è uno solo: aziende, tutelatevi. Registrate i nuovi marchi, brevettate le vostre nuove idee, e avrete più garanzie di tutela nel momento in cui qualcuno proverà a copiarvi.
Un caso a Varese è già capitato, nel settore delle macchine utensili: una realtà varesina medio piccola, ma che esporta in tutto il mondo, ha scoperto che un concorrente cinese stava vendendo prodotti troppo simili ai propri. Il marchio in questione, però, era stato registrato, ed è bastata un’ingiunzione per bloccare i concorrenti sleali.
Certo, il caso delle Vespe cinesi ricorda molto da vicino la pratica dei prodotti “Italian sounding”: nel settore alimentare, infatti, marchi come Dop o Igp garantiscono produttori e consumatori sulla qualità dei prodotti, ma c’è chi, all’estero, si è inventato il modo di aggirarli. È il caso delle “fettuccine Alfredo”: pasta al pesto pronta, non prodotta in Italia e di sicuro con un sapore ben lontano dal Tigullio, che però è capace di ingannare i consumatori esteri più attenti al prezzo che alla qualità.
Il rischio che questo escamotage venga presto utilizzato anche in altri settori è forte ma, dicono alla Camera di Commercio, «è un segnale che i nostri prodotti fanno paura alla concorrenza straniera». In attesa che Bruxelles si decida.
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