Voci sul Castello, il nutrito simposio sul Castello di Belforte organizzato durante la mattinata dalla costituenda associazione Amici di Belforte al nuovo Centro Parrocchiale del Lazzaretto, è stato una miniera d’oro e di gemme preziose affiorata all’improvviso dove per troppo tempo si era vista solo polvere. La polvere dell’oblio, che il concorso di voci chiamate a rapporto, ognuna autorevole secondo la sua particolare prospettiva – chi per averci vissuto, chi per averlo studiato, chi per averne progettato il recupero, e chi per averne avuto un sentimento poetico – ha rimosso d’un colpo, scoperchiando antichi segreti e riaccendendo speranze. E se tutti gli interventi hanno inteso convergere sul tema della memoria da salvaguardare, vari sono stati i temi che hanno regalato spunti nuovi di riflessione rispetto al passato e addirittura alcuni autentici scoop storici e letterari.
Primo fra tutti, quello emerso dall’intervento del grande storico dell’arte varesina . Il direttore emerito dei Musei Civici nonché presidente del Civico Comitato di Restauro e Tutela della chiesa di Santo Stefano, data la sua motivata sfiducia negli enti preposti a promuovere la salvaguardia dei monumenti storici (a partire dalla Sovrintendenza, per Belforte non è mai stato fatto nulla di concreto), ha lanciato l’idea di concretizzare un civico comitato che operativamente lavori sul doppio filone del recupero della testimonianza storica e della raccolta di fondi provenienti da diverse vie «partendo
dal fatto – ha spiegato – che il castello di Belforte è come se fosse Castelseprio, e abbiamo bisogno di un Bognetti che lo recuperi e dimostri che c’è tutta un’area archeologica da indagare: perché oltre al bellissimo prospetto architettonico di palazzo Biumi, forse di mano del Bernasconi, la storia risale sino all’alto medioevo, anche se di questa realtà evidentemente molto più complessa ad oggi non sappiamo niente».
Allo stesso modo degna di rilievo è stata la scoperta del professor , che indagando negli archivi storici diocesani ha scovato un’autentica chicca rileggendo un documento fiscale del 1572 in cui si evince che il “Comunis Belforte”, in quanto parte del “Comunis” di Biumo, era tenuto a corrispondergli le tasse: emerge quindi che i contadini che abitavano il Castello – i cognomi sono i medesimi di quelli di oggi: Vanetti, Ronco, Rossi… – erano già una piccola comunità organizzata.