– Non è vero che l’importante è partecipare. Per chi organizza concerti, come fa da quasi vent’anni , vincere è un dovere morale prima ancora che economico. Con la stagione musicale al Teatro Duse di Besozzo, alla sua terza edizione, la gara si fa ancora più avvincente. Sul palco, in poco più di un mese, solo tre gruppi ma con tutti gli “extra-attributi” necessari a chi il blues lo suona perché ci crede. Si è pèartiti con la Bocephus King Band, poi proseguirà il 18 con il Francesco Piu Duo e chiudere il 22 aprile in compagnia della “The Orphan Brigade”. Inizio alle ore 21 e biglietto a euro 15 (abbonamento all’intera stagione a euro 40) con prevendite al Musical Box in via XXV Aprile a Besozzo.
Se consideriamo che non sono di Berlino o New Orleans, la rassegna al Duse è sempre stata un successo: abbiamo fatto scelte azzeccate, abbiamo trovato un comune e un negozio di dischi – il Musical Box – più che mai seri e professionali, abbiamo lavorato insieme. Una volta tanto la qualità non è stata sottovalutata, e da questi concerti ne usciamo stanchi ma felici.
Non lo so: mi sveglio al mattino e me lo chiedo. Poi, però, tra mille sberle arriva un bacio (il concerto di Popa Chubby organizzato con Filmstudio) e allora ecco una nuova folata di energia. Mi sento come in quei videogiochi dove prendi un sacco di mazzate, la barra colorata della tua vita sta per finire ma poi ecco il bonus magico e ritorni in pista.
Non so più valutare. Posso dire che fare concerti di un certo tipo in Italia diventa sempre più difficile: mancano la spinta dei media, il supporto in ambito normativo e legislativo, in parte anche lo stimolo delle nuove generazioni. Qualcuno sembra remare contro questa voglia di costruire, realizzare, meravigliarsi nuovamente.
Ogni stagione ha segnato il nostro cammino, e in questo 2016 faremo altrettanto con cantautori il cui punto di forza sono i brani originali. Non solo Bocephus King – l’americano di razza che lo scorso anno ha infiammato il palco del Premio Tenco- ma anche Francesco Piu con il suo funambolismo e poi l’azzardo dei The Orphan Brigade. Giovani e talentuosi, band rivelazione della scena folk americana. Musica indipendente e coerente: quella che amo!
Hai detto bene. Mi rendo conto di non essere molto diplomatico, ma nascondersi non serve a nulla. Odio (in senso figurato ovviamente) perché in Varese vedo un provincialismo un po’ pigro e supponente, e amore perché questa città ti sa anche stupire con potenzialità inaspettate. È come se in questa leggera apatia ti accorgessi, improvvisamente, di un gioiellino nascosto. Il “Monte Rosa del blues”: non sarebbe male…
Bene. Faticosamente, ma bene. “Convergenze” rappresenta una notevole forza in più per le attività culturali sul territorio. Ci siamo praticamente obbligati, noi e tante realtà differenti, a confrontarci, a collaborare e a ragionare su noi stessi. Ci voleva. Il confronto non è facile, ma ne vale la pena: si cresce tutti, e penso che il pubblico abbia iniziato a capirlo.
È l’Italia che dovrebbe fare di più, e Varese non fa eccezione. Però ho un buon rapporto con l’assessorato alla cultura e la leggenda metropolitana che nella nostra città “non si fa nulla di buono” resta una leggenda. Auguro a Varese di invertire il trend nazionale: se in Italia si taglia, qui dobbiamo investire. Controcorrente per scelta e per non chiudere le porte al futuro.
Ne ho tanti, così preferisco partire da lontano: smettiamola di pensare che marketing, turismo e attività culturali siano cose distinte, e che “popolare” e qualità non possano stare insieme. Chi fa cultura deve condividere e lavorare per il bene comune. Erigere muri significa la morte della mente ma anche del portafogli.