Alessandro Camisa è un grande fan di Vasco Rossi.
Se gli si chiede di riassumere la sua vita al Varese – quattro anni, dalla C2 alla B, più di una stagione da capitano – con un pezzo del Komandante, la scelta è sorprendente (almeno, forse, per chi non segue il Blasco in lungo e in largo). Camisa va a pescare un brano dell’82 che si chiama “Canzone”. Lui lo ammette: «Lo so – dice – che è un pezzo malinconico, ma è così: io me ne sono andato dal Varese e non avrei voluto farlo». Quindi, ripensare a Masnago significa cantare cose del tipo “mentre tu non ci sei più”, o il finale col ripetuto “è stato splendido”. In mezzo, c’è anche un ritorno (“E quando un giorno ti incontrerò…”), ma l’atmosfera è struggente. Chissà.
Il presente a Vicenza
Ora Camisa gioca a Vicenza, lo fa da due stagioni, dopo aver lasciato Varese. L’anno scorso la caduta in Prima Divisione, quest’anno la faticosa ripresa, coi playoff andati però male. «Quando si retrocede – spiega Camisa – ci sono solo macerie. Oltretutto, la piazza è di livello, se cadi qua deludi una città che vive molto il calcio. Ci si mette un po’ a ricostruire, tra andirivieni di giocatori e facce nuove nel club. Ci siamo rimessi in carreggiata ed ecco i playoff. Peccato, ma è stata comunque una buona stagione».
Per il momento attuale Camisa non ha ancora una canzone di Vasco: «Mettiamola così – dice -: sarà una del nuovo disco che esce in autunno».
Dovendo scegliere tre simboli – una partita, una persona e una sensazione – dell’esperienza biancorossa, Camisa non si perde in chiacchiere. «Varese-Cremonese 2-0 e promozione in B: scelgo quella partita perché ricordo Gambadori che entra di corsa e va a fare il terzino; è tutto quello che eravamo: disperati, senza santi in paradiso, sfavoriti, ma pronti a tutto per andare in B. La persona che scelgo è Luca Sogliano: la mentalità di quel Varese era innanzitutto lui, e poi gli altri a catena. La sensazione che ripesco è quel che provavamo ad essere uno spogliatoio del genere: c’era una sintonia totale con mister, società e città. È stato bello partire dal nulla, da pochi spettatori, e vedere che tutto cresceva di pari passo. Sono cose, queste, che ti esaltano e che ti salvano quando, invece, le cose vanno male. A Vicenza siamo retrocessi perché, ad esempio, mancavano queste componenti».
Prima dei successi di quel Varese, estate 2008, c’era un ragazzo di 23 anni che arrivava in C2 dopo aver perfino assaggiato la serie A al Lecce. «Ero in cerca di riscatto – ricorda Camisa -, volevo mettermi in discussione. Avevo avuto offerte dalla C1, anche più vicino casa, famiglia e amici mi dicevano “ma che cosa vai a fare a Varese?”. Io sono testardo, ho capito che c’era qualcosa, un progetto, delle idee e ho avuto ragione».
Chiediamo a Camisa se, in questo momento di ricostruzione, è possibile che a Masnago torni lo spirito del Varese che ha conosciuto lui. «Secondo me sì – risponde – ed è anche semplice. Primo, c’è Bettinelli in panchina. Gli voglio bene e siamo sempre in contatto. Che cos’ha di speciale? Non inventa nulla, non promette la luna. È una persona semplice, ma che motiva, determinata. Il ds Ambrosetti non lo conosco, però mi dicono che sia serio e preparato. Il presidente, l’ho conosciuto tempo fa, è appassionato. Che altro?
Insomma, non si può sempre vincere e un anno così così non butta a mare tutto. Lo spirito del mio Varese non dipendeva dai risultati, li causava. Poi, quando vinci, le cosa vanno ancora più spedite».
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