Il calcio che hanno in testa Stefano Bettinelli e Fabrizio Castori è diverso ma quello che batte bollente nei loro cuori è lo stesso. Se il primo non ha paura di attaccare con il suo 4-4-2, pronto a trasformarsi in uno spregiudicato 4-2-4, il secondo sembra più deciso a fare attenzione, infoltendo il centrocampo e facendo assomigliare il suo 4-3-3 a un 4-5-1. Per entrambi però giocare a pallone significa soprattutto corsa, sacrificio, cultura del lavoro e spirito di gruppo.
La strada è comune per i due allenatori, trombati dal Varese nel 2013, quando avevano avuto il sopravvento le vecchie logiche, logore e sorpassate, a cui erano ancorati i dirigenti di quel periodo, poi approdati altrove. Senza pietà, Castori e Bettinelli erano stati feriti e umiliati.
Il tecnico della prima squadra era stato licenziato quando restavano da giocare appena cinque partite e i playoff non erano lontani e al suo posto era arrivato Andrea Agostinelli,
preferito a Bettinelli, che guidava la Primavera biancorossa e a cui sarebbe stato dato ingiustamente il ben servito a fine stagione. Il tempo ha fatto però giustizia e i due si troveranno di fronte sabato al Franco Ossola: Castori sulla panchina del Carpi capolista, Bettinelli su quella del Varese di cui è diventato il simbolo assoluto dopo la salvezza strappata ai playoff con il Novara. Quell’impresa è stata conquista grazie al carisma dell’allenatore che non ha avanzato nessuna pretesa economica pur di diventare il tecnico dei biancorossi. Bettinelli è uno degli allenatori meno pagati della B e lo è anche Castori che a Carpi guadagna meno di 50 mila euro più vitto e alloggio. «Ai soldi ho sempre dato poca importanza» è la frase che ha detto Castori a un giornalista della Gazzetta alla fine dell’anno scorso ma l’avrebbe potuta dire Bettinelli. Entrambi sono figli di operai. Il papà del tecnico nato a San Saverino Marche l’11 luglio del 1954 faceva l’elettricista, la mamma era sarta e il nonno un trovatello abbandonato nella ruota degli esposti di un convento. Anche il papà di Bettinelli, che è nato a Milano il 24 settembre del 1962, era operaio e poi ha saputo sviluppare con originalità un’idea, diventando imprenditore. Le origini sono comunque le stesse e i due, fieri delle loro radici, non amano le squadre di «fighetti».
Lo ha fatto capire Castori subito dopo aver fatto diventare il Carpi campione d’inverno: «Il calcio s’è imborghesito. Molti giocatori hanno poca voglia di lavorare, sono resi forti dai loro contratti. Un tecnico che ha alle spalle una dirigenza che lo appoggia va via come un treno, altrimenti sono guai. Ho trovato anche tanti ragazzi con il culto del lavoro ma guadagni e successo cambiano le persone».
Gli stessi concetti sono il pane di Bettinelli come possiamo constatare giorno per giorno dalle colonne di questo giornale che ha già raccontato un’infinità di aneddoti del tecnico biancorosso, instancabile nel ribadire quotidianamente quanto sia fondamentale il lavoro del gruppo e quanto facciano male a una squadra i solisti. Castori è diventato un esempio per i ragazzi di San Patrignano, che ha allenato durante i tre anni di squalifica per la rissa di Lumezzane-Cesena: «È capitato che qualche avversario si rivolgesse ai miei chiamandoli “drogati”, come se fosse un insulto, una macchia indelebile. Ma risalire dopo aver toccato il fondo è possibile». Bettinelli, nelle sue quattro stagioni trascorse nel settore giovanile del Varese, ha formato calciatori facendoli diventare prima uomini. Sabato i due si affronteranno nella partitissima di Masnago che nessuno vuole perdere. Prima di giocarla entrambi l’hanno già vinta perché, in un mondo del calcio in cui spesso regna la sporcizia della doppiezza e dell’ipocrisia, loro sono uomini puliti, veri e unici.