Fissata l’udienza preliminare per Stefano Binda: il 19 dicembre sarà chiaro se vi sarà o meno un processo per l’omicidio di Lidia Macchi. La giovane studentessa varesina fu uccisa a soli 20 anni il 5 gennaio 1987. Lo scorso 15 gennaio, dopo quasi 30 anni dall’omicidio, fu arrestato, in seguito alle indagini coordinate dal sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda Stefano Binda, 49 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia: per la procura generale di Milano fu lui a uccidere con 29 coltellate.
I difensori di Binda potrebbero, qualora il caso non venisse archiviato, decidere di non chiedere riti alternativi. Niente rito abbreviato, ma la scelta di affrontare il dibattimento, questa è una delle possibilità paventate da Sergio Martelli, difensore del brebbiese. Altro nodo da sciogliere: chi sarà il gup che presiederà l’udienza? Oggi l’ufficio gip di Varese ha due magistrati in servizio. Uno, Anna Giorgetti, è il gip dell’inchiesta e quindi non potrà presiedere l’udienza per ovvie ragioni di garanzia dell’indagato. L’altro magistrato è Alessandro Chionna, che però potrebbe tornare a Busto Arsizio. Secondo indiscrezioni potrebbe essere lo stesso presidente del tribunale, Vito Piglionica, a presiedere l’udienza preliminare. L’accusa potrebbe essere rappresentata dalla stessa pg Manfredda.
Il punto di partenza del procedimento è il capo d’imputazione, come da avviso di conclusione delle indagini della procura generale.«La sera del 5 gennaio 1987, dopo aver incontrato Lidia Macchi nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio, ed essersi accompagnato all’amica nella sua auto – si legge -, Binda raggiungeva la zona boscosa del Sass Pinì dove, dopo la consumazione di un rapporto sessuale, ottenuto con minaccia e costrizione, la aggrediva colpendola reiteratamente alla gola, al collo e al torace e, successivamente, mentre la ragazza tentava la fuga, alla coscia sinistra e alla zona dorsale con 29 coltellate tali da cagionare alla vittima numerose lesioni che ne determinavano la morte per anemia e asfissia dopo penosa agonia».
Delle cinque aggravanti contestate dalla Procura Generale, ne spiccano due: quella di aver agito «per motivi abietti e futili», consistenti «nell’intento distruttivo della donna considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso, tradimento da giustificarsi con la morte», e quella di aver agito «con crudeltà».
Quest’ultima aggravante, così come descritta dal sostituto pg Manfredda, richiama esplicitamente alcuni passaggi della lettera anonima indirizzata alla famiglia Macchi e attribuita al quarantanovenne di Brebbia da una consulenza tecnica. L’aggravante della crudeltà si sarebbe manifestata attraverso «modalità efferate».n