«Perché non si è fatto avanti prima? Perché questa persona ha lasciato passare 15 mesi?».
È Daniele Pizzi, legale della famiglia di Lidia Macchi, a dare voce alle domande che tutti si sono posti quando l’avvocato bresciano Piergiorgio Vittorini ha annunciato all’Assise davanti alla quale è imputato Stefano Binda, accusato di aver ucciso Lidia Macchi 30 anni fa, di rappresentare una persona che asserisce di essere il vero autore della missiva anonima In morte di un’amica, uno dei principali cardini dell’accusa, sollevando Binda dalla paternità dello scritto. Patrizia Esposito, codifensore con Sergio Martelli di Binda,
50 anni di Brebbia, ex compagno di liceo della vittima, l’altro ieri, dopo aver presentato il documento di Vittorini durante l’udienza d’apertura del processo a carico del brebbiese aveva detto: «probabilmente non si è fatto avanti prima per paura. Questa persona dice di essersi decisa per rimorso, vedendo Binda restare in carcere. Forse non si è fatta avanti prima credendo che Binda venisse scarcerato e molto probabilmente temendo l’assioma autore della lettera uguale assassino di Lidia ha taciuto sinora».
E qui interviene Pizzi chiarendo il punto. «Vorrei sottolineare che quando Binda fu identificato come autore della lettera con una perizia grafologica voluta dalla procura generale non fu arrestato. Venne indagato, era il luglio 2015 e ricevette l’avviso di garanzia a sua tutela. Ma non venne arrestato. Preciso questo proprio per scardinare il presunto assioma lettera uguale assassino». Pizzi aggiunge: «Nei sei mesi successivi furono eseguiti altri accertamenti a carico di Binda, sempre libero. Furono eseguite delle perquisizioni a casa sua a Brebbia e lui era presente. Furono sequestrati altri scritti, venne svolta un’approfondita attività di indagine. E soltanto al termine di quest’attività, avendo ottenuti altri riscontri dei gravi indizi di colpevolezza a carico di Binda, che nulla hanno a che vedere con In morte di un’amica, Binda fu arrestato». Di qui la conclusione: «questa persona non ha nulla da temere. Essere l’autore della missiva non significa essere immediatamente identificato come il colpevole dell’omicidio di Lidia – dice Pizzi – questa persona si faccia avanti senza alcuna paura».
Pizzi sottolinea come «non abbia nulla da temere nel rivelarsi. I riscontri dimostreranno se è l’autore della lettera e se non è coinvolto dimostreranno anche come questa persona non abbia nulla a che fare con l’omicidio di Lidia».
È il legale della famiglia Macchi, che da tre anni, da quando l’inchiesta ha ripreso impulso, è al fianco di mamma Paola e di Alberto e Stefania, il fratello e la sorella di Lidia, a ribadire ancora una volta quale sia la volontà della famiglia: «questa persona si faccia avanti nell’interesse della verità nell’interesse di tutti: di Lidia, della sua famiglia che da 30 anni attende giustizia, e anche dello stesso Binda. Nascondendosi dietro un mandato legale, sottraendosi a una piena testimonianza, questa persona al contrario non è di alcun aiuto. Non è d’aiuto per arrivare alla verità».