Streghe, sabba, e roghi. Sembrano ingredienti di una storia lontana, che sfuma nella leggenda. E difficilmente al giorno d’oggi ci rendiamo conto che fenomeni come la “caccia alle streghe” da parte della Santa Inquisizione sono avvenuti proprio vicino a casa nostra, sul territorio dove trascorriamo la nostra vita quotidiana. Eppure, uno dei più celebri processo ebbe luogo proprio nella nostra provincia, a Venegono Superiore per l’esattezza, e si concluse con numerose condanne a morte.
Nel 2015 “La Varese Nascosta”, nata da appena pochi mesi, aveva esordito pubblicamente con un convegno proprio su questo argomento, svoltosi alla Corte dei Brut di Groppello di Gavirate.
Il grande pubblico di oggi ha potuto conoscere in maniera esaustiva la “follia” del fenomeno passato alla storia come ”caccia alle streghe” grazie al cinema, a film come “La seduzione del male” tratto dall’opera teatrale di Arthur Miller “Il Crogiuolo”. Miller voleva denunciare il fanatismo del maccartismo degli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati Uniti, dimostrando come in ogni epoca, con modalità brutalità diverse, l’uomo cerca sempre un nemico da incolpare e distruggere.
E nei secoli tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età Moderna questo nemico era la donna. Ma se solitamente siamo abituati a pensare ai roghi delle cosiddette “streghe” come a qualcosa di lontano nel tempo e dal luogo in cui viviamo, un brivido ci scorrerà lungo la schiena pensando alle donne mandate a morire in un modo atroce, dopo essere state torturate da uomini che dicevano di farlo in nome di Dio, proprio di fianco a casa nostra, a Venegono Superiore.
L’associazione culturale “La Varese Nascosta”, presieduta da Andrea Badoglio, propone una serata per scoprire cosa successe quasi cinque secoli fa alle donne del Varesotto.
Il processo si apre il 20 marzo 1520 nel castello del conte Fioramonte Castiglioni, per fatti accaduti a partire dal 1513, scoperti dalla ricercatrice Anna Marcaccioli Castiglioni, sono stati tradotti e pubblicati nel suo libro Streghe e roghi nel Ducato di Milano. Processi per stregoneria a Venegono Superiore nel 1520 (Thélema Edizioni, Milano, 2000).
Con la bolla di Papa Giovanni XXII Super illius specula (Avignone, 1326) la magia cessa di essere una superstizione da tollerare e perdonare e diventa un fenomeno sociale che deve essere contrastato, in quanto minaccia per la Chiesa. Si tratta in generale di culti e riti legati alla religiosità precristiana, che soprattutto tra i ceti contadini era ancora molto presente.
La parola stessa “pagano”, usata per indicare chi non era cristiano ed adorava gli antichi dei, deriva dalla parola latina “pagus”, ovvero villaggio. Chi abitava nelle zone rurali, lontano dai grandi centri urbani, rimaneva più legato agli antichi culti.
Culti che erano visti come una minaccia, per concorrenza, dalla Chiesa.
Da qui nasce la necessità di contrastare pubblicamente questi culti. Il fatto che a finire sotto processo fossero soprattutto donne può essere visto in diversi modi.
La donna, nei secoli passati, e in tantissime culture, caratterizzata dal dominio del patriarcato, compresa quella europea, è sempre stata guardata con sospetto. Le è sempre stata concessa meno libertà. E seguire antichi culti pagani era un modo, spesso, per guadagnarsi questa libertà negata. Ma questa situazione non poteva essere tollerata dal potere dominante. Da qui la nascita dei tribunali ecclesiastici.
«Anno 1484: Papa Innocenzo VIII dà ampi poteri ai frati Heinrich Kramer e Jakob Sprenger di svolgere incontrastati la loro opera di inquisitori; i due frati domenicani codificheranno le tecniche per la caccia alle streghe nel manuale intitolato Malleus Maleficarum (Il Martello delle Streghe): secondo gli autori, ci sono più streghe che stregoni: le donne sono più inclini a farsi irretire dal demonio perché deboli, psichicamente fragili, chiacchierone, vendicative e cadono presto nei dubbi sulla fede,
la loro concupiscenza carnale è insaziabile per cui si uniscono ai demoni per soddisfare la loro libidine. Il processo inquisitorio si basa sui pettegolezzi pubblici, sufficienti a condurre una persona al processo, nonostante le accuse siano spesso perpetrate per invidia; l’avvocato manca, perché una difesa efficace da parte del difensore è prova del fatto che egli stesso è “stregato” e dovrà pertanto essere a sua volta processato. La tortura è la normale tecnica di interrogatorio (si attenderà il XIX sec. per vederla abolita in Europa, grazie al pensiero di Cesare Beccaria). La confessione viene estorta con la promessa di salvezza e, una volta ottenuta, considerata comunque prova di colpevolezza:“confessano solo per evitare la pena di morte”. Anche il processo alle streghe di Venegono viene celebrato con le regole del Malleus Maleficarum, fino al totale annientamento psicofisico delle sue vittime». (fonte: http://luogoeventuale.blogspot.it/). L’associazione culturale Luogo Eventuale aveva realizzato nel 2012 una rievocazione del processo.
Nel 1520 a Venegono Superiore sei presunte streghe furono arse vive davanti alla chiesa di Santa Maria dopo aver subito feroci torture da parte degli inquistori dell’Ordine domenicano. Una settima morì durante gli interrogatori e il suo corpo fu dissepolto e bruciato.
Le sette donne erano Elisabetta Oleari, Margherita Fornasari, Caterina Fornasari, Antonina del Cilla, Maddalena del Merlo, Majnetta “Codera”, Giovannina Vanoni.
La prima donna che venne interrogata dall’Inquisizione fu Margherita Fornasari, accusata con la figlia Caterina di essere «strega ed eretica da un certo Giacomo da Seregno, da poco messo al rogo in quel di Monza per eresia e stregoneria».
Da qui inizia “l’inchiesta” della Santa Inquisizione.
Margherita, si apprende dalle fonti, avrebbe subito confessato tutto quanto le veniva addebitato, con l’unica accortezza di non coinvolgere nessun’altra donna, né alcun altro uomo, «ma il verbale del suo interrogatorio si chiude con la minaccia dell’Inquisitore, che le dà tempo ventiquattrore per pensare e confessare tutto, altrimenti minaccia di torturarla».
Una delle donne accusate, Elisabetta Oleari, si sarebbe proclamtaa innocente dall’inizio alla fine, resistendo a tutte le torture che le venivano inflitte. Le sarebbero persino stati praticati degli esorcismi.
«Lei sopportò fino allo svenimento ogni genere di tortura, ma non confessò. Forse sperava di riuscire a cavarsela in questo modo, ma anche questo fu inutile, perché in ogni caso la colpevolezza di Elisabetta era già ampiamente provata, secondo gli inquisitori, dalle testimonianze delle altre donne.
L’unico uomo accusato, figlio e fratello di una di loro, riceve una pena più mite: l’esilio».
Una vicenda oscura e tremenda, che è stata oggetto di opere teatrali. Oltre alla rievocazione già citata, va ricordata l’opera “Strìa” dell’attrice Claudia Donadoni.