Circondati dalla bellezza, diventa persino difficile accorgersi delle cose normali. Il Salone Estense è meraviglioso, i giardini tutt’attorno disegnano una cornice che riesce a colpire anche quando il cielo è grigio, la Pallacanestro Varese si consegna alla città in un rito nel quale sacro e pagano si mescolano alla perfezione. Bellezza di gesti e parole, bellezza di momenti ed emozioni.
La presentazione è un rito al quale ormai non si può rinunciare, fa parte della normalità in una città che vive di pallacanestro. Ieri il viaggio di Pozzecco e della sua squadra è ufficialmente partito: sognare è lecito, in quel meraviglioso gioco che in realtà è molto più di un gioco e che da queste parti fa parte della vita e del panorama.
Eccoli lì, gli uomini a cui è capitata l’immensa fortuna di vestire la maglia che fu di Morse e Meneghin: schierati ed emozionati perché davanti a loro c’è idealmente tutta quanta la città. No, non è solo un gioco: e a dirla bene è il sindaco Fontana, che lui il basket lo conosce bene perché col basket c’è cresciuto. «Questo – ha detto a cuor sincero – è il momento della vita da sindaco che amo di più. Perché sono stato stregato dal fascino della pallacanestro quando ero ragazzino, andavo a vedere le partite alla palestra dei pompieri e ogni estate trepidavo nell’attesa del primo allenamento. Perché ai tempi i giocatori americani li conoscevi solo quando li vedevi, e le settimane passate a macerare nel dubbio erano le più belle».
Parole di sindaco, parole di tifoso, parole di varesino: «Dire che questa squadra onorerà il nome di Varese sembra una banalità, ma non lo è: c’è tutto il bello del rapporto unico che lega questa città al basket. Io a questi ragazzi chiedo di farci sorridere, di farci divertire, di farci sognare. E il mio desiderio più grosso: sentire ancora il “cata su” che rimbomba dalle tribune. Perché è troppo tempo che non lo sento, e anche quando abbiamo vinto i derby con Cantù i tifosi non l’hanno cantato. Ed è un peccato, perché è la colonna sonora con cui siamo cresciuti».
Desideri legittimi, che sembra di sentir parlare uno qualunque di quelli che camminano per il corso. E siccome lui, il sindaco, di basket ne capisce pure abbastanza, è bello stuzzicarlo anche su quello che gli stuzzica la squadra.
«Quasi tremila abbonati con una squadra costruita da zero sono qualcosa di unico, incredibile: solo a Varese, insomma. Pozzecco è un catalizzatore d’entusiasmo eccezionale, che da solo riesce a muovere le coscienze e far ribollire le folle. Certo: da solo non basta a vincere le partite». Ecco, appunto: perché finora si è parlato di tutto. S’è parlato di bellezza e sorrisi, di storia e passioni: ma non s’è parlato di vittorie. E un precampionato in cui gli acuti sono stati pochi sta facendo venire un po’ di dubbi a qualcuno. «Non a me, anche se sono convinto che le sconfitte non facciano mai bene e che vincere sia sempre la migliore delle medicine. La squadra sulla carta mi piace: l’ultimo arrivo di Deane era assolutamente necessario, e mi sembra che questo si sia caratterizzato come un gruppo assolutamente atipico. Se giocano a tutta possono vincere con chiunque».
E se lo si dice tutti insieme – vincere – non trema nemmeno la voce. Anche perché il primo a dirlo – vincere – è proprio Gianmarco Pozzecco. Che nei pochi secondi in cui tiene in mano il microfono delude chi si aspetta che faccia lo scemo, ma fa felice chi pensa che lui sia qualcosa che va oltre le battute e le cazzate. «Io – ha detto il Poz – l’ultima volta che sono entrato in questa sala era ubriaco sfatto perché avevo appena vinto lo scudetto. E ora sono qui per questo: il mio unico obiettivo è regalare a questi ragazzi la possibilità di vivere quello che ho vissuto io quindici anni fa. Così che poi, alla loro vita di giocatori di basket, avranno davvero poco altro da chiedere». E per il momento, a undici giorni dal via della stagione, tutto questo ci basta. E ci avanza pure.
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