«La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano della scoperta di una nuova stella».
Così scriveva, due secoli fa, Jean Anthelme Brillat-Savarin. Il gastronomo francese autore della celebre “Fisiologia del gusto” aveva ragione, ma rincorrere a tutti i costi l’innovazione non sempre porta a scoperte sconvolgenti o epocali. Qualche volta è meglio adattarsi a ripercorrere – attualizzandola – la tradizione, come fa .
Lo chef della Tana dell’Orso ha classe, talento ed estro ma anche senso di misura, realismo e concretezza. Sa bene che tutti – non solo i grandi cuochi – possono realizzare un piatto memorabile: basta avere a disposizione la migliore materia prima. La stessa che Testa impiega ogni giorno nel suo elegante ristorante incastonato nella magica atmosfera di Mustonate. Sulla sua tavola è possibile scoprire prelibatezze squisite di primissima qualità ma spesso sconosciute.
Stelle dalla luce abbagliante che Jean Anthelme Brillat-Savarin avrebbe adorato e su cui si sofferma Francesco Testa in questa gustosa puntata di Cucinando.
Slow Food è un’associazione non-profit che conta centomila membri in 150 paesi del mondo. Fondata da Carlin Petrini nel 1986, promuove il cibo buono, pulito e giusto. Buono da mangiare per le sue qualità organolettiche, ma anche per i valori identitari e affettivi che si porta dietro. Pulito perché prodotto in modo ecosostenibile e rispettoso dell’ambiente. Giusto perché conforme all’equità sociale durante la produzione e la commercializzazione. Bisogna tornare a dare il giusto valore al cibo, rispettando chi lo produce, chi lo mangia, l’ambiente e il palato.
Per parlare della migliore materia prima era doveroso incominciare da Slow Food, che non ha bisogno di pubblicità. Esiste una solida “Alleanza” tra cuochi e i presidi Slow food e io, con la Tana dell’Orso, ne faccio parte da sempre a Varese, dove è responsabile territoriale.
Se in Italia ci sono 233 presidi, i ristoranti e le osterie aderenti al progetto sono 325: lo scopo dell’alleanza è la tutela della biodiversità. Ogni locale deve impegnarsi ad avere nel menu almeno tre presidi Slow Food, vere miniere a cielo aperto. Sono questi alimenti a fare la differenza in termini di qualità: farli conoscere, promuoverli e portarli sul palato dei clienti è una sfida stimolante.
Penso a che cosa darei da mangiare ai miei figli quando metto in carta un menu. Per loro andrei in capo al mondo, pur di trovare le cose migliori, e lo stesso faccio a Mustonate: la gente sente il bisogno di mangiare cose sane, insegue genuinità e sicurezze e io ho l’obbligo di accontentare queste sacrosante richieste.
La rassegna dei presidi che propongo è ovviamente legata alla stagionalità ed è vastissima. Mi limito a citare alcune impareggiabili chicche, partendo dal pannerone di Lodi. Pensate che c’è solo un produttore che lo fa ancora con tutti i crismi e si chiama . Quando vedi il pannerone, te lo mangeresti a morsi ma se lo metti in bocca lo sputi subito talmente è amaro. Ha un sapore complesso e particolare, è un cacio difficile, antimoderno e ormai a rischio di estinzione. Sorprende se accostato alla dolcezza delle pere in un risotto. È prodotto con latte intero, pannoso: le caratteristiche che lo rendono unico sono la stufatura finale e soprattutto il fatto di non essere sottoposto a nessun procedimento di salatura.
Se il bitto storico è un formaggio più conosciuto, forse non si può dire altrettanto per la razza Varzese, diffusa in Lombardia. Lo stesso vale per il coniglio grigio di Carmagnola, che ha carni fini, tenere, sapide, particolarmente bianche e per nulla stoppose. Anche questa è una chicca che trovate alla Tana dell’Orso dove non manco di valorizzare il territorio varesino.
I formaggi caprini di da Curiglia sono favolosi e aiutano a rendere ottimi i ravioli, mentreproduce formidabili asparagi di Cantello.
Sostenendo la piccola agricoltura si incentiva la rigenerazione e la continuità della biodiversità, facendo conoscere il territorio. È un fatto culturale imprescindibile. C’è poi : ha aperto la sua bottega a Travedona per dare pesce freschissimo alle vecchiette del paese che sono ancora innamorate della tradizione e non smettono di cucinare il lavarello al burro salvia con mandorle tostate. Il suo carpione è squisito.
Potrei continuare all’infinito parlandovi di eccellenze e presidi, come il carciofo della penisola di Mestre e Venezia, la bottarga di Orbetello o l’aringa affumicata. Con queste materie prime non c’è bisogno di elaborare troppo in cucina e con questi ingredienti tutti possono fare grandi piatti. Sono uno stimolo all’estro e alla fantasia, come testimonia la mia patata di Pasqua, servita con ovette di quaglia e asparagi al vapore.
Vi saluto dandovi l’appuntamento a sabato 26 aprile quando, ai Giardini Estensi, andrà in scena “Mercato della terra” con tanti produttori a km0 e laboratori del gusto. Io non mancherò.
© riproduzione riservata