«Odiavo la ginnastica, i saggi ginnici, i cortei e le divise: preferivo leggere».
Lo scrittore e poeta Gianni Rodari, premio Andersen nel 1970, nato a Omegna, sul lago d’Orta, il 23 ottobre 1920 e vissuto a Gavirate, dall’età di 9 anni, dopo la morte di suo padre, parla di sé, nella preziosa “Autobiografia”, all’interno del volume biografico “Storia del giovane Rodari” a cura di Pietro Macchione, scritto in collaborazione con Chiara Zangarini e Ambrogio Vaghi. «A 11 anni entrai in Seminario e ne uscii a 13: non saprei ricostruire per quale processo vi sia entrato, ne sono uscito perché trovavo umiliante la disciplina».
Leggere era la sua passione, una passione ben alimentata: «Dall’età di quattordici anni leggevo di tutto, soprattutto filosofia, letteratura, storia dell’arte e delle religioni». La poesia fu il primo – e forse il suo più congeniale – strumento, della precoce vocazione letteraria: «Facevo la terza elementare a Omegna, quando scrissi su una carta assorbente i miei primi versi. Quell’anno scrissi moltissime poesie su un quadernetto da disegno, e un mio compagno di scuola le illustrava. La maestra le mostrò
al direttore. Ne venne pubblicata una sul giornale dei commercianti». Ad una fervida fantasia si aggiungeva la passione per la musica, ascoltata e riascoltata, come l’inno di Garibaldi e la Marsigliese, che il giovane poeta ascoltava dalla sveglia di zia Marietta, che contribuì alla sua «educazione musicale e civile». Un estro che si declinava in giocose invenzioni, non solo in versi: «il primo strumento musicale, me lo feci di mia mano, a nove o dieci anni, servendomi di vecchie scatolette odorose del lucido da scarpe». Oltre alla musica, la curiosa esperienza di burattinaio che si intravede nei simpatici personaggi delle sue filastrocche: «tre volte in vita mia sono stato burattinaio: da bambino, agendo in un sottoscala che aveva una finestrella fatta apposta per assumere il ruolo di boccascena; da maestro di scuola, per i miei scolari di un paesetto in riva al lago Maggiore, da uomo fatto per qualche settimana, con un pubblico di contadini che mi regalavano uova e salsicce. Burattinaio, il più bel mestiere del mondo». La scrittura per ragazzi, favole, fiabe e filastrocche è senz’altro parte più rilevante e più famosa della sua produzione, di cui le “Favole al telefono”, un best seller ancora oggi e “Filastrocca in cielo e in terra” (Einaudi) sono due titoli estremamente conosciuti tra il pubblico più giovane. «Debbo aver già raccontato o confessato da qualche parte, non ricordo dove, che spesso, per esercizio, vado in cerca di personaggi, situazioni, storie da raccontare, negli orari ferroviari, nell’elenco telefonico, introducendo nelle aride colonne di nomi di persona, di città la semplice provocazione di una rima. Ottengo in pochi istanti la notizia, assolutamente inedita, che “una mucca di Vipiteno/aveva mangiato l’arcobaleno”».
Lo scrittore di Omegna (e anche di Gavirate) ha il merito di avere affrancato il genere della letteratura per l’infanzia, grazie alla profonda ironia, a volte stravolgente e un po’ dissacrante, ma non troppo, con un gioco mai banale e sempre volto all’uscita dagli schemi e dal conformismo della realtà, da quei luoghi comuni che ci imprigionano, ieri come oggi. Per volgere lo sguardo alla libertà, con un sorriso giocoso e una lieta malinconia, giocando con il nostro quotidiano, ripensando alle tradizioni che un po’ ci assomigliano.
«Si può parlare degli uomini anche parlando di gatti e si può parlare di cose serie e importanti anche raccontando fiabe allegre» affermò Rodari, quando ricevette il premio “Hans Christian Andersen per la fiaba inedita”, nell’ormai lontano 1970.