La storia è importante, racconta tante cose e conoscerla fa bene. Anche al cuore: la faccenda dei corsi e ricorsi – teorizzata dal Vico, verificata da quasi tutti noi – aiuta a vincere la malinconia nei momenti duri. Tipo quello attuale dei tifosi biancorossi. La storia dice che pure il Varese ha sempre vissuto di cicli, e la peculiarità è che questi alti e bassi hanno avuto una cadenza straordinariamente regolare: cinque anni esatti, a volte con una tolleranza di qualche mese, per eccesso o difetto.
Come stiamo per spiegarvi, ogni anno tondo e ogni metà decennio sono coincisi con fasi di rottura dell’epopea biancorossa. Ecco perché nessuno dovrebbe stupirsi se siamo alla fine di un pezzo di strada, e che questo accada esattamente a metà del secondo decennio del secolo è casuale solo per chi non tiene conto del passato.
Si potrebbe partire da Adamo ed Eva, cioè dagli albori: potremmo leggere nella data di fondazione del club, anno domini , e nel primo campionato vinto, la Promozione lombarda del , incredibili premonizioni del destino che sarà. Ma è dagli anni ’50 che i cicli quinquennali prendono forma, diventando il canone temporale fisso su cui modellare aspettative, gioie e delusioni dell’universo biancorosso.
Nel la società sta per fallire, sotto il peso di nove milioni di debiti,
quella volta espressi in lire: cifra comunque enorme, specie se si considera che la squadra milita in Promozione dopo due retrocessioni di fila. Si riparte grazie al grande cuore del giornalista e della gloria biancorossa , che tessono la tela della ripartenza su basi diverse, con Marini presidente. La sera del 15 ottobre nasce la nuova compagine dirigenziale, sui campetti polverosi delle periferie paesane il Varese costruisce una cavalcata da 21 vittorie, 7 pareggi e 70 gol in 30 gare.
Nel (in leggero… anticipo sulla scadenza del lustro) il Varese, reduce da tre promozioni di fila, è di nuovo in serie C, categoria che mancava dal ’52. E il 13 settembre 1959 s’inaugura la tribuna coperta in cemento di Masnago, primo avamposto del futuro stadio, fin lì ridotto a campetto con tribunette lignee e alberi di contorno.
Nel il Varese, presieduto da e finanziato da , completa l’incredibile scalata e, stupendo tutti, approda per la prima volta in serie A. La data magica è il 7 giugno, quando l’1-0 interno col Cosenza vidima il pass per il paradiso. Il debutto nell’Olimpo il successivo 13 settembre, al Franco Ossola, contro l’Inter di Herrera campione di tutto: 0-0 e occhi sgranati. Il porta con sé una storica salvezza.
Icaro era un pirla, soleva dire il Cumenda. Il Varese fa un po’ l’Icaro: il 4 febbraio 1968 batte 5-0 la Juve e contende lo scudetto al Milan di e ; ma l’anno seguente, , si brucia e precipita all’ultima giornata. Fine ciclo segnata dalla sfortuna: si retrocede per un punto dopo aver colpito 18 pali in stagione. Borghi si rimbocca le maniche: chiama e chiede all’adorato capitano di smettere di giocare per allenare i baby.
Nel inizia il ciclo quinquennale: il Barone riporta la squadra in A e via via vengono su nuove nidiate di talenti, alcuni dei quali (, ) arriveranno sul tetto del mondo. Il , vincendo 2-1 a Novara, la meglio gioventù educata dal Peo – promosso nel ’72 sulla panchina più importante – porta per l’ultima volta il Varese a veder le stelle. Il , campionato di metà decennio, regala poche gioie ai 5.600 abbonati, poiché fragilità, inesperienza e l’immancabile dose di sfortuna (a turno si fanno male tutti i… Neto del gruppo) relegano i biancorossi all’ultimo rango della A. Al tramonto del quinquennio l’addio a Giovanni Borghi, che muore a Comerio il .
Nel , dopo una retrocessione dalla cadetteria molto simile a quella che si sta consumando oggi, comanda l’inedita serie C1 con un gruppo totalmente rifatto. È il Varese granitico del tosto , del pimpante , del bomber , del 17enne che dirige la difesa con le stimmate del fuoriclasse.
Decollo per un altro volo: l’apogeo sarà naturalmente l’82, con la Lazio che ci toglierà il grande sogno. L’atterraggio il , quando il Bologna vince lo scontro salvezza di Masnago e condanna una squadra molto più bella e forte di quanto dica l’avara classifica: domina quasi sempre in casa ma perde sempre fuori, va giù quasi senza accorgersene, troppo convinta di se stessa fino all’epilogo avverso.
Il – un fallimento dopo: era l’88 – segna la riscossa: Peo Maroso fa l’ultimo capolavoro e conduce alla vittoria in C2 una rosa costruita per vincere da . Peccato che la gioia resti strozzata in gola: retrocessione immediata, con l’harakiri di Empoli.
Questo ciclo è un filo più breve: nell’estate del (cinque anni dopo il fallimento: credete ancora al caso?) c’è l’autoretrocessione tra i dilettanti.
Si riparte per l’ennesima volta da zero sotto la spinta di e del ds : il fedelissimo si mette di buzzo buono e con i gol di domina subito l’Interregionale, corredandolo tra il ’94 e il ’95 con un bel po’ di Coppe Italia (di D, dei Dilettanti, di serie C).
Altro quinquennio, altra pietra miliare: riottenuta la C1 nel ’98 con , il torneo vede il Varese mirare con decisione alla serie B.
In squadra ci sono irediddio come , , e , tutti destinati a giocare più o meno a lungo in A. È l’anno della fatal Cittadella, beffa immeritata che respinge la generazione Beretta a un passo dal traguardo.
E siamo alla storia recente. Nel 2004 sparisce il vecchio Varese, affossato dalla malagestione dei , e nasce il nuovo sodalizio, grazie all’intuizione e alla lungimiranza di
e del “suo” . Si rifà la società e anche la squadra, il battesimo è nella stessa polvere del ’54, a Parabiago in Eccellenza. Non si vince il campionato, ma si viene ripescati, e comunque quella stagione sciacqua la bocca a tutti.
Il , fine del decennio, è il campionato in cui i sogni di tre generazioni di tifosi s’avverano: la doppietta di nel drammatico playoff con la Cremonese suggella la scalata sanniniana orchestrata da . Ci sono voluti 25 anni di tormenti, ma siamo tornati. E oggi, cinque anni dopo, annata , probabilmente faremo il percorso inverso, mentre in società ci sarà una sterzata epocale. Ma niente deve farci paura, perché sappiamo che non finisce qui: ce lo dice la storia. Risorgeremo ed entro cinque anni, al più tardi nel 2020, saremo qui a raccontarci un altro ciclo di sorrisi e cose belle.