Napoli, 26 gen. (Apcom) – Anche duecento euro a salma per un
guadagno medio di circa 6mila euro al mese. Questo quanto
guadagnato dai componenti di una vera e propria associazione per
delinquere che gestiva il `racket del caro estinto’ in alcune
aree della provincia di Caserta e di Napoli. I carabinieri del
nucleo operativo della compagnia di Caserta, su mandato del gip
di Santa Maria Capua Vetere, hanno accertato che esisteva un vero
e proprio sistema che si metteva in moto dopo ogni decesso
avvenuto presso l’ospedale civile di Caserta. Gli impiegati della
sala mortuaria, infatti, procuravano solo ad alcune imprese di
pompe funebri i dati anagrafici delle persone appena decedute.
Ditte che, su base territoriale, avevano generato un vero e
proprio `cartello’ che gestiva i proventi di funerali e trasporti
funebri. Secondo quanto accertato dagli investigatori, gli
infermieri avvivano tempestivamente gli imprenditori delle ditte
di onoranze funebri per garantire loro la tempestività in
ospedale facendo intendere ai familiari delle vittime che il
servizio fosse convenzionato con la struttura pubblica.
In cambio, i titolari delle pompe funebri versavano compensi in
denaro ai dipendenti del nosocomio casertano. Somme pari a 200
euro per ognuno dei funerali organizzati in modo tale da
consentirgli di incassare, illecitamente, circa 6mila euro al
mese. Denaro che veniva spesso intascato a `domicilio’ ossia
recandosi direttamente presso le sedi delle imprese funebri
coinvolte nelle indagini.
Il sistema corruttivo è definito dalla Procura sammaritana
“collaudato e radicato nel sistema della gestione della sala
mortuaria dell’ospedale di Caserta” al punto che ogni ditta che
riceveva favori dagli infermieri ricorreva alla “sistematica
dazione della somma illecita”. Una condotta talmente radicata da
“non richiedere alcuna trattativa o persuasione nel
raggiungimento dell’accordo illecito”. Il giro d’affari stimato
dagli investigatori ammonta a diverse decine di milioni di euro e
riguarda imprese di pompe funebri di Santa Maria Capua Vetere,
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dell’agro aversano e della zona di Marcianise. Un business che
non si fermava non solo davanti al dolore di parenti e amici che
avevano perso il proprio congiunto, ma soprattutto nei confronti
dei concorrenti. Per raggiungere i propri scopi commerciali,
infatti, alcune delle persone coinvolte nelle indagini, non
esitavano a minacciare, aggredire e intimorire anche con
attentati incendiari e pistolettate. Atti di violenza perpetrati,
a volte, anche durante le esequie al punto da costringere i
familiari a pagare due volte le cerimonie funebri o a vedere
`traslocare’ la salma del proprio caro da un carro funebre
all’altro.
Ma lo scandalo su cui si è fatta luce oggi, che ha portato
all’esecuzione di 22 ordinanze di custodia cautelare di cui 17 in
carcere e 5 con il beneficio dei domiciliari (oltre al divieto di
dimora per 8 persone), non è l’unico verificatosi negli ultimi
tempi in Italia. Il 16 ottobre scorso furono 41 le ordinanze
notificate a infermieri e titolari di pompe funebri di Milano per
i reati di associazione per delinquere finalizzata alla
corruzione e alla rivelazione di segreti di ufficio. Il 30 aprile
del 2008, invece, furono 11 gli arresti eseguiti a Latina nei
confronti di persone indagate per aver commesso attentati
incendiari realizzati per monopolizzare il mercato del settore
delle pompe funebri a Terracina.
Apa
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