È come il vino il mondiale del 1982. Più il tempo passa e più s’impreziosisce; più acquista valore. Sono passati 35 anni da quella domenica 11 luglio, da quella notte magica e indimenticabile del Bernabeu eppure l’emozione è intatta con i suoi colori sgargianti nel racconto di uno dei principali protagonisti: Claudio Gentile. Uno con il compito di mettere la museruola agli avversari, ma che il destino gli regalò l’assist a Paolo Rossi per il primo gol nella finale con la Germania. E quanto fatto in Spagna non si può limitare al campo per i suoi riverberi sul sociale, il politico ed il culturale.
«Eravamo al corrente della festa della gente per le nostre vittorie contro l’Argentina e il Brasile e poi ovviamente dopo la vittoria con la Germania, ma al ritorno da Madrid, sull’aereo che ci portava a Roma, il presidente Pertini ci disse che avevamo fatto una cosa straordinaria per l’Italia, che avevamo unito il Paese, che ancora non potevamo renderci conto del bene che avevamo fatto per gli italiani – racconta Gentile – con la gente che aveva riscoperto valori e simboli dimenticati. Già allora, ma a distanza di anni, sapere di aver fatto qualcosa per il tuo Paese a me riempie ancora d’orgoglio. Cosa c’è di più bello, per gente famosa come eravamo noi calciatori, aver contribuito alla gioia e alla positività dei tuoi concittadini?».
Ed è anche per questo che la gente ha dentro di sé il mundial ’82 e sfumato quello di Germania 2006:«Sorprende che anche i giovani sappiano la nostra formazione e non quella che ha vinto in Germania».
E dire che la spedizione ‘82 era iniziata tra le solite polemiche per le convocazioni cresciute nel ritiro di Vigo e per un girone eliminatorio inguardabile, ma che aveva comunque permesso all’Italia di accedere agli ottavi di finale con l’Argentina, campione del mondo uscente. «Eravamo un grande gruppo che si unì maggiormente quando decidemmo di fare il silenzio stampa perché i giornalisti avevano superato le misure. E se ti metti contro di loro devi avere una grande forza e devi sapere in che la vita sarà dura. Ma fummo compatti».
Arrivarono le impensabili vittorie con Argentina e Brasile. A Gentile toccò “bucare” le gomme prima a Maradona e poi a Zico: i due più forti. Rivela:«Bearzot mi disse che avrei dovuto marcare Maradona e io lo studiai vedendo le tre partite di qualificazione dell’Argentina. Era la squadra campione del Mondo e quei campionati in Spagna dovevano essere quelli di Maradona. Andò bene…». Era bravura. E la controprova delle capacità di “Gheddafi” si ebbe tre giorni dopo quando mise il morso al fantasista verdeoro.
Racconta:«Mentre dal campo scendevamo negli spogliatoi dopo la ricognizione, Bearzot mi avvicinò e mi disse “devi marcare Zico”. Dissi una parolaccia, ma capii il perché me lo disse all’ultimo momento: per togliermi la tensione. Ero convinto di marcare Eder, che era un bel soggetto, ma in quegli istanti compresi la grandezza di un uomo che sapeva di calcio ed era anche un grande psicologo».
A quel punto la semifinale con la Polonia sembrava un atto dovuto, «ma era la squadra sorpresa», per poi affrontare i panzer. Continua Gentile: «A me toccò Littbarski, uno al quale non potevi concedere un centimetro. Lo temevo. Difatti nel primo tempo non superai la metà campo, poi gli presi le misure e nel secondo tempo mi spinsi in avanti tanto da fare il passaggio per il gol di Rossi».
Ma nel primo tempo ci furono i brividi per il rigore sbagliato da Cabrini: «Rientrammo negli spogliatoi e tutti lo confortammo. Avevamo dentro la convinzione che ce l’avremmo fatta e quindi lo tranquillizzammo e tutti gli dicemmo di non preoccuparsi che avremmo comunque vinto. Non erano parole di circostanza. Eravamo convinti. Stavamo veramente bene fisicamente e psicologicamente e volevamo portare a casa la coppa del Mondo».
E sono stati di parola. Ecco perché la gente ricorda ancora Zoff, Gentile, Cabrini; Oriali, Collovati, Scirea; Conti, Tardelli, Rossi; Antognoni, Graziani, gli altri undici e il Vecio. I ragazzi d’Italia.