Cara Varese, prima le persone poi il resto

L’editoriale di Marco Dal Fior dopo l’incontro con il nuovo prevosto di Varese, Monsignor Luigi Panighetti

Ci voleva il nuovo prevosto per ricordarci che Varese, pur con tutti i suoi limiti, “resta una città a misura d’uomo”. Lo ha detto ieri presentandosi in modo informale ai giornalisti varesini, davanti a un aperitivo in corso Matteotti. Lo ha detto raccontando le sue prime impressioni nel nuovo ruolo, alla vigilia dell’entrata ufficiale nella Basilica di San Vittore e alla guida della Comunità pastorale Sant’Antonio Abate, che comprende il centro, Bosto, Casbeno e la Brunella.

In pratica il cuore di Varese.
Monsignor Luigi Panighetti, con questa semplice sottolineatura, a prima vista molto laica nei contenuti, ha di fatto ricordato, a chi sotto il campanile del Bernascone ci vive da sempre, che esiste – e deve esistere – una logica nella gestione della cosa pubblica, perfino nell’urbanistica, che va al di là degli interessi del proprio gruppo. E che il tesoro lasciatoci dai nostri nonni non può e non deve essere disperso inseguendo altre mete che non siano il vivere bene, in pace con gli altri e con il mondo intero. Così facendo il nuovo prevosto ha dato una traccia importante. Qualcuno, sicuramente forzando le sue intenzioni, potrebbe leggerla addirittura come una specie di manifesto politico, in una città che si appresta alla campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale. Saprà il nuovo sindaco tenere la barra del timone fissa verso “la città a misura d’uomo”? E, soprattutto, cosa vuol dire “a misura d’uomo”? Nessuno, ovviamente, qui ardisce impancarsi ad esegeta del Panighetti-pensiero. Ma il richiamo del nuovo prevosto deve interrogare la ragione e il cuore di ciascuno di noi. Soprattutto di chi ambisce a diventare, da qui a qualche mese, il timoniere, dalla tolda di Palazzo Estense, di un equipaggio composito e variegato. A misura d’uomo significa, in soldoni, che è la persona al centro di ogni progetto. Non il profitto, il risparmio, l’economia o il Pil. È la persona nel suo infinito intreccio di situazioni, sensazioni, sentimenti. Ed è alla persona che devono rifarsi tutti i programmi e gli scenari immaginati per il nostro futuro. Sembra una sottolineatura marginale quella di monsignor Panighetti. È invece un programma socio politico. Al quale nessuno dei candidati alla fascia tricolore prossimo ventura può sottrarsi. Ci vengono in mente, in questi giorni, le vicende della giunta regionale lombarda. Fatti i debiti distinguo tra le accuse e la dimostrazione delle stesse, si è lavorato, nel settore della sanità pubblica, tenendo al centro del mirino le necessità della gente, cioè delle persone? I dubbi che i magistrati – e non solo loro – hanno avanzato è che si sia data la precedenza agli amici, agli amici degli amici, alle consorterie e alle sette. Pensiamo anche alle emergenze di Varese, legate alla crisi che ha affamato centinaia di famiglie, ha tolto il lavoro a chi credeva di avere uno stipendio sicuro, ha azzerato il portafoglio di istituzioni ed enti che della solidarietà del mutuo soccorso avevano fatto una bandiera. “Città a misura d’uomo” è anche stabilire una gerarchia delle emergenze, sapendo vagliare quanto serve davvero agli abitanti da quanto invece è utile soprattutto al partito e al suo share elettorale. Ci auguriamo che l’asserzione di monsignor Panighetti non venga presa sotto gamba. Se non altro per dovere di ospitalità nei confronti del nuovo prevosto.