Una telefonata di prima mattina: strano. L’avremmo ignorata, se sul telefono non fosse apparso un nome: Sandro Galleani. Eh no: al Sandro si risponde, si risponde sempre. «Avete scritto che questa volta non sono al seguito della nazionale, ma non è vero: io ci sono, ci sono sempre. Non sono in Slovenia fisicamente, certo: ma ci sono con il cuore. Perché la maglia di Varese e quella dell’Italia ce le ho sempre addosso, e quando vado a letto la sera faccio fatica a togliermele». E quando una telefonata inizia così, si capisce in un attimo che abbiamo fatto bene a rispondere.
«Mi sembra – dice lo storico fisioterapista di Varese e Italia – di rivedere il gruppo del 2003: e qualche giorno fa ne parlavo con Recalcati che di quella squadra era il coach: “E’ vero, Sandro – mi ha detto – sembra la nostra». E quali sono queste analogie? «L’Italia di allora part’ per quell’avventura tra lo scetticismo generale e in un mare di critiche: nessuno avrebbe scommesso un euro su di noi. E forse quel clima negativo fece in modo che quel gruppo si cementasse per arrivare al risultato finale: un bronzo fantastico, anche se io sono convinto che saremmo potuti arrivare anche in finale. Dopo quell’Europei scrissi una poesia mettendo insieme le sensazioni raccolte nelle settimane trascorse insieme. La poesia si chiudeva così: “E a tutti i criticoni, abbiamo risposto da campioni”. L’ho mandata ai ragazzi che ora stanno giocando in Slovenia, perché la situazione è davvero la stessa».
Insomma: profumo di medaglia. «Vedremo: intanto questa squadra ha già fatto qualcosa di enorme. E lo ha fatto grazie alla forza di un gruppo fatto di ragazzi che, come ha detto Polonara al vostro giornale, prima di tutto sono degli amici: nessuna gelosia, nessuna invidia, atteggiamento giusto». Quindi? «Su Facebook ieri Cusin e Cinciarini scrivevano che era arrivato il momento di mettere una cerniera sulla bocca a un po’ di gente: io ho risposto dicendo che raglio d’asino non va in cielo, e che è meglio che si parli di basket sempre, perché ne abbiamo bisogno. Io non so come andrà a finire: dico solo quello che dicevo nel 2003. Sognare non costa nulla, quindi facciamolo».
Ma non è mica finita qui. Perché va bene parlare di nazionale, ma a noi piace anche discutere di Varese: ed ecco che arriva la bomba. «Torno in pista». Da cinque anni Galleani aveva deciso di passare la mano, distrutto dopo la maledetta retrocessione del 2008, e di dedicare tutto il tempo alla sua amata Egidia. «Però il basket mi è sempre mancato, e appena potevo io venivo al palazzetto. Qualche settimana fa, Vescovi mi ha chiamato proponendomi di diventare il nuovo addetto agli arbitri: una posizione importante, un ruolo delicato e prestigioso». Quindi, è ufficiale? «A caldo ho detto sì, mi sono emozionato e quasi mi girava la testa. Poi ho pensato che avrei portato via il posto a qualcun altro allora mi sono bloccato perché non mi piaceva l’idea di fare dei torti: ma alla persona che c’era prima di me offriranno un altro ruolo, e allora ho accettato».
Notizia bellissima. «Sono felicissimo di calarmi in un ruolo per me nuovo: spero di essere all’altezza e di dare quello che chi mi ha scelto si aspetta. L’addetto agli arbitri è importante, e io nella mia carriera ho sempre avuto un ottimo rapporto con i fischietti. E’ vero che ormai quelli che conoscevo io non arbitrano più, ma negli ultimi anni quando dopo la partita andavo in spogliatoio a salutare gli arbitri anche i più giovani mi dicevano la stessa cosa: “Lei non conosce noi, ma noi conosciamo lei”. Bello, no?». E la squadra, l’ha già conosciuta? «Ho visto la partita con il Galatasaray, e non mi è dispiaciuta: Coleman è un fenomeno, Hassel ha quel movimento che conclude in gancio che farà ammattire tutte le difese».
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