Sebben che sono donna, so fare un sacco di cose da uomo: cambiare una ruota bucata, portare da sola valigie pachidermiche, cazziare l’idraulico e tosare l’erba in giardino.
Ad appassionarmi ai mondiali no, non ce l’ho fatta. E quindi oggi non riesco a partecipare al lutto nazionale, perdonatemi: sono solo una bionda svaporata, e al netto del rammarico di forma – oh sì, un vero peccato – confesso che l’Italia fuori dai giochi non mi toglierà il sonno né l’appetito. Ho capito che voi avete appena scoperto l’esistenza di quel postaccio dell’Uruguay e siete ancora traumatizzati ho capito che avete la morte nel cuore, che oggi vi siete letti la Gazzetta con l’occhio lucido, reduci da una notte infestata dalla visione del Pistolero pronto a sbranarvi. Ma, dopo tutti gli improperi contro Prandelli e la “solita Italia svogliata”, fate come noi donne abbiamo fatto fin dall’inizio: fregatevene dei mondiali. Sì, lo so che le vostre mogli e fidanzate hanno finto di appassionarsi alla breve ma intensa impresa nostrana nel rutilante mundial carioca.
Fingevano, appunto, un po’ come fate voi quando simulate entusiasmo per i saldi da Zara o l’ennesima replica di Sex and the City. Perché nella doverosa battaglia per la parità di genere, che pure qualche confusione rischia di crearla, sul calcio la distanza tra i sessi rimane siderale: voi ridete, piangete, sbraitate, noi vi guardiamo contorcervi sul divano con quella certa condiscendenza distaccata che di norma si riserva al nipote scemo. Ci abbiamo anche provato, a farci prendere dal sacro fuoco dei mondiali: io per esempio il 14 giugno ero lì, schierata davanti alla tv per vedere i nostri trionfare contro la perfida Albione.
Ho posto a mio marito tutte le domande del caso («Amore, qual è la nostra porta? Perché hanno tutti le scarpe fluorescenti? Quando entra Baggio, quello col codino?»), ho cercato di non addormentarmi, mi sono adeguata pedissequamente alle espressioni degli astanti, che fossero di estasi o tormento.
Ma a fine partita, l’unica cosa che mi aveva davvero impressionata era la caduta epica del fisioterapista inglese, quel tizio che è riuscito a rompersi tibia e perone da solo, nell’atto di esultare per il gol di pareggio. Ecco, il punto è che secondo me i mondiali vi fanno fare cose strane, a voi maschi: ve ne state lì, tutti presi dall’impresa olimpica di seguire “i ragazzi” dal divano, sudando e come se ci foste voi, a correre sotto il sole brasileiro, tranciando giudizi schizofrenici su Prandelli che ora è una perla e ora un pirla (come ha scritto in questi giorni l’ottimo Andrea Confalonieri, con una chiarezza tale che l’ho capito perfino io) e adesso vi disperate come se vi fosse morta non dico la mamma, ma almeno una cugina di secondo grado.
E invece pensate un po’: noi femmine, in questa ingloriosa fine degli azzurri, riusciamo a scorgere anche non pochi lati positivi.
Non dovremo più ospitare tutto il parentado per vedere la partita (e offrire da bere a tutti, anche alla zia Olga che trinca come un alpino), non dovremo più subire gli sproloqui di milioni di Ct improvvisati e potremo finalmente seguire con calma il prosieguo dell’avvincente triangolo Seredova-Buffon-D’Amico (io dico che la spunta Alena). Ma soprattutto il Rocco nazionale può tornare all’opera, scusate se è poco: lui sì che tiene alto il buon nome dell’Italia.
Laura Campiglio
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