“Carlo” ha poco più di quarant’anni, e sta ricominciando ora a vivere.
È in una comunità vicino a Milano, dove lo stanno aiutando a trovare un lavoro e a diventare nuovamente autonomo.
Ma il suo percorso di rinascita inizia da Varese, in via Walder, dove poco più di un anno fa è entrato nel servizio di “Drop In” che nella città giardino è gestito da Cooperativa Lotta Contro L’Emarginazione.
«Quando è arrivato da noi – racconta la responsabile di Coop Lotta, – Carlo beveva fino a undici litri di vino al giorno. Dormiva per strada e non aveva più nessuno al mondo. Aveva perso il lavoro, poi la casa, e da lì era cominciata la sua caduta».
Il servizio di via Walder offre agli ultimi della città la possibilità di fare una doccia calda, di sbarbarsi, di fare un minimo di bucato.
Un servizio di accoglienza, dove due operatori specializzati li accolgono, li ascoltano, e alla fine della mattinata li indirizzano verso le varie mense dei poveri della città, dalla Brunella a via Bernardino Luini. Un punto di partenza importante anche perché, spiega Bettoni, «li costringe a “lasciare fuori la bottiglia”, non bevendo e non pensando a bere per qualche ora».
Queste poche ore di lucidità danno l’occasione alle persone come Carlo di prendersi un attimo per rendersi conto di dove sono arrivati, e di decidere di riprendere in mano la propria vita.
Percorsi come quelli di Carlo non sono semplici: «Prima di tutto siamo riusciti, in circa otto mesi, a riuscire a fargli ridurre il consumo di vino da undici a due litri e mezzo al giorno – dice Bettoni – Ancora troppo, ma già è un risultato positivo per una persona come lui. Ha passato un periodo in ospedale, per disintossicarsi, poi in comunità, dove sta completando il percorso».
Una strada piena di ostacoli, soprattutto per gli stranieri: «Per loro è più facile finire sulla strada – spiega Bettoni – perdono il lavoro, quindi i documenti, e diventano di fatto invisibili. Finiscono per strada, e iniziano a bere. Con qualcuno siamo riusciti a organizzare un rimpatrio assistito, ma non è facile, soprattutto se sono musulmani. La famiglia li rifiuta, e senza un appoggio in patria è ancora più difficile ripartire». Sono gli invisibili di Varese: molti di più di quanti ci si aspetti in una città che ancora pensa di essere benestante.
Persone che, vivendo per strada o comunque ospitati in maniera precaria, hanno perso la residenza, i documenti, ogni diritto.
«Arrivano qui attraverso il passaparola tra senza tetto – racconta Bettoni – e per loro anche solo la possibilità di una lavatrice significa, ad esempio, non dover continuare a chiedere vestiti nei vari “Armadi dei poveri” della città».
Per ogni ospite si tenta un reinserimento personalizzato, contattando i servizi sociali o i Sert, i servizi per le dipendenze da sostanze. Coop Lotta collabora anche con l’Asl provinciale, che fornisce aiuto per il monitoraggio delle malattie sessualmente trasmissibili, un servizio utile soprattutto per i tossicodipendenti.
Al Drop In non ci sono regole fisse: «L’unico limite, qui, è il rispetto di persone e cose – dice Bettoni – al mattino diamo la colazione, tè e biscotti. Poi li indirizziamo verso le mense dei poveri. Qui possono chiedere aiuto, e lo troveranno. Perché il punto di partenza, per loro, è ricominciare a prendersi cura di sé». Il primo passo per ripartire, come ha atto Carlo.
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