Caro papa Francesco, non so se a un pontefice si possa dare del tu, ma a me viene spontaneo, come mi verrebbe se fosse tra noi il Santo da cui hai preso il nome e come te stava dalla parte degli umili e degli animali, di chi sa regalare un’emozione.
E poi perché ami il tango argentino, una musica piena di storie tristi e dolorose, specchio di un popolo che ha saputo accettare il mescolarsi delle razze e poi cantarlo e ballarlo,
anziché incitare alla rivolta e all’odio.
Un papa ha dentro di sé un’intera umanità con cui confrontarsi ogni giorno, deve ascoltarla con la mente e con il cuore e mantenere una sensibilità parallela a quella di chi soffre, lo stesso linguaggio, perfino gli stessi gesti, perché soltanto in questo modo la fede è assorbita e dà frutto.
Anche per chi non crede, il tuo pontificato è uno shock, qualcosa non da prete ma da uomo in mezzo ad altri uomini, con lo stesso impatto che può avere sulla popolazione del pianeta una rockstar o un immenso campione dello sport, qualcuno che parla come noi e sa pensare come un filosofo oppure come il vicino di casa.
Sempre con il sorriso e la curiosità, davanti alle grandi e alle piccole cose, con la capacità di entusiasmarsi (ed entusiasmare) di fronte al pianto di un bambino o al presidente boliviano che ti dona un crocefisso forgiato su una falce e martello, anche quello simbolo di fatica e lavoro, della divisione di pane e sudore con i fratelli.
In Italia la stampa scrive che ormai sei il più a sinistra di tutti, di certo dimostri di saper cogliere ogni minima sfumatura della vita sociale e politica, e parli di argomenti che da almeno duemila anni sono di stretta e imprescindibile attualità: amore, salute e lavoro, e in più, rispetto a ciò che Gesù Cristo già predicava, ma già San Francesco aveva intuito, la tutela dell’ambiente, alla quale, cosa fino a ieri impensabile per un papa, hai dedicato la tua seconda Enciclica, “Laudato sì”.
Oggi questi argomenti sono scomodi, è più facile discutere di economia, sfruttamento delle risorse fino al loro esaurimento, ricchezza a ogni costo, distruzione di foreste, fiumi e mari, di tecnologie disumane, così chi sceglie di scendere dal trono e camminare tra la gente parlandone la stessa lingua, perde autorità tra i potenti e perfino tra i media, perché un papa che si cambia d’abito in un fast food è forse folkloristico ma poco ecumenico, un papa che abbraccia sofferenti e disabili infischiandosene del protocollo, bacia i malati di Aids, si commuove e vacilla, lotta contro la pedofilia, tifa per il San Lorenzo, si impegna per la pace in Siria e critica i sacerdoti di Buenos Aires che non hanno battezzato i figli di coppie non sposate è decisamente spiazzante, c’è perfino imbarazzo a parlarne.
Più facile liquidarlo come populista (qualcuno ricorda un certo Albino Luciani, il “papa del sorriso”?) o mettere quasi in coda ai tg il suo viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay, Paesi non proprio à la page, ma chi è simpatico alla gente di solito non lo è a chi comanda, e un papa che da vescovo si cucinava da sé pranzo e cena e punta il dito contro i potentati finanziari è quantomeno bizzarro.
Così, in una torrida domenica di luglio, noi della redazione abbiamo pensato di invitarti a salire con noi e la nostra gente il Viale delle Cappelle fino al Santuario di Santa Maria del Monte, come fece Giovanni Paolo II 31 anni fa, perché il tuo essere cristiano somiglia in modo impressionante al sentimento di padre Aguggiari, visionario e nel contempo estremamente concreto, perfino brutale, ma capace di arrivare dritto al cuore e accenderlo ancora di speranza. Lungo un percorso che intreccia a perfezione la meraviglia della natura all’opera dell’uomo, e sollecita bontà e contemplazione, in nome, come sostieni nel tuo ultimo scritto, di «un’ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità». È il caso di dirlo: parole sante.