BIANDRONNO Diciannove anni dopo la morte violenta di Vincenzo Ciappina, la Procura della Repubblica di Varese ha ora due nomi sui quali lavorare per dare un volto agli assassini che una mattina dei primi di luglio 1991 freddarono il noto avvocato varesino sotto casa sua.
Lo scorso febbraio era stata annunciata una svolta nel caso, rimasto per anni senza una traccia che permettesse agli inquirenti di dare una spiegazione a quell’omicidio così cruento, le cui modalità rimandano ad una esecuzione di stampo mafioso: Ciappina venne colpito al volto e al petto da pallettoni sparati quasi a bruciapelo con un fucile a canne mozze. In realtà, non viene affatto esclusa l’ipotesi del delitto d’impeto. O della vendetta per banali questioni di vicinato.
Adesso quelli che prima erano soltanto dubbi e sospetti si concretizzano in una indagine formale a carico di due persone, Giuseppe Fotia, 82 anni, di Casale Litta, e Giuseppe Messina, 75 anni, di Besozzo, i cui nomi sono iscritti nel registro degli indagati associati all’ipotesi di reato di concorso in omicidio volontario.
Il loro coinvolgimento nella vicenda giudiziaria emerge dalla richiesta di incidente probatorio su alcuni reperti organici – saliva che gli inquirenti hanno trovato su francobolli di lettere minatorie che erano state recapitate alla vittima – avanzata da Giuseppe Messina di fronte al giudice per l’indagine preliminare di Varese. La procura sospetta appunto che si tratti tracce a lui riconducibili: di qui la contromossa difensiva del legale dell’indagato, avvocato Antonio Battaglia, che vuole che l’esame del dna avvenga con la garanzia dell’incidente probatorio, affidato cioè ad un consulente terzo, nominato dal tribunale, al quale eventualmente affiancare un proprio perito di parte.
Un’arma comunque a doppio taglio, perché, qualunque sia l’esito, esso verrà cristallizzato come prova da acquisire direttamente al fascicolo del dibattimento. Messina, che protesta la sua innocenza, potrebbe dunque uscirne completamente scagionato, come pure definitivamente incastrato qualora il suo profilo genetico dovesse risultare compatibile con quello estratto dalla saliva repertata sui francobolli. Si tratta di un passaggio formale di importanza fondamentale, dunque, che dà la misura di quanto l’indagine sia progredita in silenzio in questi mesi: dalla procura finora nulla è trapelato, e la cautela mostrata dal procuratore Maurizio Grigo e dal sostituto Tiziano Masini, titolare dell’inchiesta, è comprensibile, data la delicatezza della materia. Eppure i nomi di Fotia e Messina sono nel registro degli indagati almeno da tre mesi, da quando sono stati entrambi sottoposti ad interrogatorio da parte del pm Masini.
Se i dubbi su Messina nascono da tracce di natura organica, quelli su Fotia hanno genesi del tutto differente: nascono dalla constatazione dei pessimi rapporti personali che intratteneva con la vittima, che dunque conosceva bene, e con la quale aveva ingaggiato un lungo e complicato contenzioso di natura civile per questioni di vicinato. «È vero – ammette il suo difensore, l’avvocato milanese Francesco Mandalari – Ma si tenga conto che aveva vinto la causa in tribunale. Quale motivo potrebbe avere avuto per uccidere Ciappina?».
Franco Tonghini
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