Omicidio : oggi forse la verità su quei vetrini distrutti. Fu soltanto sciatteria? La pg , nel corso del processo che vede , 50 anni di Brebbia, ex compagno di liceo della giovane studentessa assassinata 30 anni, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, ha più volte portato sul banco “degli imputati” l’inchiesta condotta 30 anni fa.
Oggi in aula, davanti alla Corte d’Assise presieduta da , che dovrà arrivare a una verità sull’assassinio di Lidia Macchi, testimonierà , che nel 2000 autorizzò (parrebbe a sua insaputa) la distruzione dei 13 vetrini contenenti Dna dell’assassino prelevato 30 anni dal corpo di Lidia.
Una vicenda già affrontata in aula e che a tratti ha rivelato delle stranezze. I contenitori che custodivano i reperti relativi all’omicidio di Lidia, oltre al numero di fascicolo, come da prassi, recavano la dicitura “Lidia Macchi”. Un omicidio tristemente celebre. Noto. E ancora aperto: perchè nonostante questo i reperti furono distrutti, cosa che non sarebbe mai dovuta accadere? E quella dicitura “Lidia Macchi”, unico caso in tutto l’ufficio, perchè era stata apposta? Fu messa dopo nel tentativo di salvare qualcuno? Oppure fu vista e ignorata?
La pg Gualdi, con , legale della famiglia Macchi, sul punto hanno insistito moltissimo. Anche perchè se quei reperti non fossero stati distrutti oggi forse sapremmo con certezza se Binda uccise o meno Lidia. Ed è stato proprio Pizzi, spinto dalla voglia e dalla necessità di dare assoluta verità alla famiglia Macchi, sotto ogni aspetto, a chiamare D’Agostino sul banco. C’è il dubbio, lo ha sollevato il pg Gualdi in aula, che D’Agostino firmò per quella distruzione senza sapere che anche i reperti relativi all’omicidio di Lidia sarebbero andati perduti.
Qualcuno fece in modo che lui firmasse inconsapevolmente? E se sì, perchè? Oggi davvero potrebbero svelarsi dei retroscena del caso che, più che coinvolgere Binda, potrebbero aprire altri scenari sul fronte giudiziario.
Nella stessa giornata comparirà in aula anche , avvocato, ex sindaco di Brescia che , ex amica di Binda che ha collegato il cinquantenne alla lettera anonima “In morte di un’amica” recapitata a casa Macchi il giorno delle esequie di Lidia, ha accusato, con spontanee dichiarazioni rilasciate alla Mobile, di far parte di un complotto bresciano per scagionare Binda. Bianchi disse che Paroli in combutta con , avvocato bresciano che sostiene di rappresentare il vero autore di quella lettera ritenuta fondamentale per gli inquirenti, è parte di un complotto per scagionare il brebbiese.
Paroli, probabilmente, avrà qualcosa da dire su questo. Bianchi, in aula, ha dichiarato che a riferirle il dettaglio fu l’amico , che l’accusa dovrà citare nelle prossime udienze.