Cava Nidoli, prima e dopo Vota il sondaggio on line

VARESE «La nostra attività di recupero ambientale non prevede la rimozione della collina ma solo il suo rimodellamento a gradoni, mentre il profilo viene conservato». Questa la precisazione che arriva dall’amministratore unico di Italinerti, Antonio Nidoli, dopo l’ultima settimana di dichiarazioni e polemiche attorno alla contestata cava del bosco di Trescali, nella Valle della Bevera. Un’intenzione che il proprietario del sito sottolinea inviando le immagini di come sarà modificato l’aspetto della collina dopo l’escavazione proposta dalla ditta per la messa in sicurezza della parete, per un totale di circa 1 milione e 300 mila metri cubi di materiale. Vale a dire 250 mila metri cubi in meno rispetto a quanto autorizzato dal Piano cave regionale di cui la Provincia di Varese ha chiesto lo stralcio.

Arrivati a questo punto dirimere la questione spetta a due enti, entrambi di livello regionale. Il Tar cui hanno fatto ricorso i comuni di Varese e Cantello e la Provincia per contestare il rifiuto della Regione Lombardia a procedere con la Via (Valutazione di impatto ambientale) come richiesto a novembre da Villa Recalcati. E poi c’è il Pirellone, che dovrà valutare la richiesta di stralcio della cava Italinerti dal Piano regionale. Richiesta avanzata all’unanimità dal consiglio provinciale un mese fa e che proprio l’altro

giorno ha incassato un primo parere favorevole da parte della Regione: la Commissione ambiente ha accolto all’unanimità una risoluzione che «impegna la giunta di Formigoni ad accelerare il più possibile l’iter di approvazione della revisione del Piano cave, stralciando la cava ex Coppa di Cantello». Dunque il Pirellone sembra orientato ad approvare lo stralcio e se ciò dovesse accadere si dovrà procedere a una nuova valutazione del caso: l’obiettivo rimane quello di mettere in sicurezza il pendio, ma bisogna capire se per farlo sia davvero necessario escavare e, in caso affermativo, quanto.

Enti locali, comitati di cittadini (circa 40 le sigle di gruppi e associazioni che si sono opposte alla cava), e pure il cavatore non possono far altro che aspettare la decisione di questi due enti. Ma intanto la tensione sull’argomento rimane alta, soprattutto attorno al sistema idrico sotterraneo del torrente Bevera che garantisce acqua potabile a mezza città e sulla tanto citata relazione di Aspem sul rischio di «aumento della vulnerabilità della falda» connesso all’escavazione. Per Nidoli «l’attività di escavazione, così come studiata, non può creare inquinamento – scrive – e siamo comunque disponibili a realizzare i due pozzi piezometrici richiesti da Aspem per controllare la falda e fungere da barriera nel caso di perdite accidentali dagli automezzi che sono l’unica ma remotissima causa di possibile inquinamento». Dall’altra i cittadini che si oppongono alla cava sottolineano come il rischio di inquinamento non possa comunque essere escluso e che i pozzi piezometrici potranno al massimo segnalare l’avvenuto inquinamento, ma non impedire che questo raggiunga la falda e chiedono piuttosto la creazione di un Parco a tutela di tutta la Valle della Bevera. La questione potrebbe essere risolta dallo studio più approfondito di una Valutazione di impatto ambientale (Vas), ma se accettasse lo stralcio la Regione potrebbe valutare non solo l’opportunità di procedere all’escavazione per tutela della falda, ma anche riconsiderarne l’effettiva necessità per raggiungere l’obiettivo della messa in sicurezza del pendio.

Lidia Romeo

e.marletta

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